giovedì 19 giugno 2014

Cinema: Song'e Napule


Aggiornando il poliziesco all'attuale condizione socio-culturale e ammiccando al genere, Manetti firmano una sceneggiatura esilarante

Paco Stillo è un pianista disoccupato che la madre ha raccomandato al Questore Vitali. Inabile ma arruolato, Paco viene assegnato alla scrivania e al deposito giudiziario. Scoperti per caso la sua attitudine alla musica e il suo talento per il pianoforte, Paco passa in prima linea partecipando suo malgrado a una delicata operazione di polizia finalizzata a catturare Ciro Serracane, temibile e temuto killer della camorra. Saputo del recente matrimonio della figlia del boss di Somma Vesuviana, a cui Serracane presenzierà, il commissario Cammarota ordina all'agente Stillo di infiltrarsi nel gruppo musicale di Lollo Love, celebre cantante neomelodico napoletano, assoldato dal boss per allietare le nozze della robusta sposa. Abbigliato come un coatto e costretto a suonare l'inascoltabile, Paco affronterà con poco entusiasmo ma grande professionalità entrambi i ruoli.
Ancora una volta lo spunto narrativo dei Manetti Bros è folgorante e prende corpo dall'esperienza dei propri attori. Alessandro Roja, Giampaolo Morelli, Paolo Sassanelli, Carlo Buccirosso e Peppe Servillo, installati nel cinema dei fratelli romani, ne incarnano l'essenza e la influenzano. Ma non si esauriscono nel cast i meriti di Song'e Napule, che umilia la camorra e ammira la polizia proprio come in un poliziottesco italiano degli anni Settanta. Del genere, che scalzò gli 'spaghetti western' e sbancò il botteghino condividendo la sala con la commediaccia erotica, Song'e Napule desume il commissario dal pugno di ferro, le figure caratteriali tipiche, la rappresentazione cupa degli ambienti criminali, l'esplosione improvvisa di una violenza cieca e sanguinaria, l'aspetto comico grottesco, l'accompagnamento musicale incalzante e l'immancabile inseguimento a bordo di un Alfa Romeo.
Ammiccando al genere i fratelli romani finiscono per praticarlo e praticare le sue dinamiche con ironia, la stessa con cui frequentano da anni la dimensione parallela del cinema, quella di efficaci pellicole di serie B con cui hanno saputo convogliare gli umori e la paura del Paese. Aggiornando il poliziesco all'attuale condizione socio-culturale, i Manetti firmano una sceneggiatura esilarante che precipitano in una Napoli governata dalla malavita, refrattaria alla raccolta differenziata e soggiogata dal neomelodico e dal suo (in)credibile rappresentante, Lollo Love. A interpretare alla perfezione l'idea del personaggio e la soluzione stilistica che sta dietro al personaggio è Giampaolo Morelli, autore pure del soggetto. Soggetto che insieme ai poliziotti affranca e riabilita i cantanti neomelodici napoletani, smentendo l'idea che dietro a questa 'industria del trash' ci sia la camorra. Lollo, come Nino D'Angelo o Gigi D'Alessio, sogna Sanremo e la scena nazionale ma un imprenditore famelico, che ne amministra le prestazioni, lo costringe dentro i confini della città. A mancargli forse è la presentabilità e l'aspirazione che gli fornirà l'agente diplomato al conservatorio di Alessandro Roja. Perché la neomelodia napoletana nella commedia poliziesca dei Manetti è "cosa sacra e seria da salvar" e con cui salvare un poliziotto infiltrato dal 'cuoricino d'oro'.
Esplorata senza (pre)giudizio, arrangiata dagli Avion Travel, eseguita a microfono da Morelli e sprofondata nella città del sole, che non smette di parlare di amore, qualche volta disperato qualche altra avverato, la canzone neomelodica contempla le lacrime e la realtà, abbandonandosi impudicamente alla nostalgia o al ricordo di un desiderio. Allo stesso modo il film dei Manetti recupera la flagranza del cinema artigianale, reclama un cinema della materia e divulga il genere, fregandosene delle griglie estetiche dominanti e approfondendo comportamenti collettivi (e localistici) che non ci pensano proprio a stare al loro posto, sognando una serata su Rai Uno. Concludendo, la polizia ringrazia e i neomelodici pure.

domenica 15 giugno 2014

Bici: Lago di Varese



Percorso il pezzo dal km 17 al 22.
Molto bello specie nella prima parte vicino al lago e fra i boschi.
Da continuare

con Filo e Franci

domenica 8 giugno 2014

Bici: Lago di Comabbio



Difficoltà: media
Fondo: asfalto e sterrato;

Distanza: 12,5 Km

Tipo di bici: con cambi visti i continui, anche se corti, saliscendi, non consigliata la bici da corsa.


Il lago di Comabbio si trova in Provincia di Varese a circa 3 Km dal più famoso lago di Varese di cui un tempo era collegato. Ha uno sviluppo di 9 Km ed è un'oasi naturalistica ricca di piante acquatiche, la profondità massima è di 8 m.

 Partendo dal parco di Ternate la pista ha una lunghezza di circa 12,5 Km. In comune di Varano Borghi è possibile per mezzo di un raccordo ciclabile raggiungere la pista del lago di Varese.

Il percorso regala incantevoli scorgi di paesaggio, immersi in un ambiente naturale originale, interessante la scelta costruttiva di una pedana in legno lunga 500 m che permette di pedalare sospesi sull'acqua.


Non mi è piaciuta molto, troppe salite e discese, quasi sempre lontana dal lago e dalla sua vista.

domenica 1 giugno 2014

Milonga: Le Jardin

Apertura stagionale.
ancora freschino, si balla con il golf. senza troppo casino.
ammetto che a ballare tango tradizionale orai mi è quasi difficile, non sono piu abituato.
Nessun amico, qualche conoscenza, quindi si sperimenta, con alti e bassi, nessuna eccezionalità, ma potrei anche essere io.

Cinema: Godzilla


A Tokyo un segnale elettromagnetico ignoto causa scosse sismiche su vasta scala, compromettendo il funzionamento di una centrale nucleare. Nell'incidente Joe Brody perde la moglie e non si darà pace fino a che non avrà scoperto le ragioni del disastro, nascoste dalle versioni ufficiali. Quindici anni dopo la sua ricerca porterà alla verità, alla più incredibile e distruttiva delle verità.
Uno dei casi più clamorosi in tempi recenti di divaricazione tra aspettative e resa finale, il Godzilla di Gareth Edwards spazza via, come solo la coda del lucertolone è in grado di fare, il ricordo di innumerevoli tentativi malriusciti di riportare sullo schermo il dinosauro di Honda Ishiro. Da molti kaiju eiga scaduti nel trash al Godzilla di Emmerich del 1998, ibrido tra Jurassic Park e un disaster movie, il cui ricordo è cancellato dalla nuova versione sotto ogni aspetto. Sotto il profilo contenutistico, grazie a un plot più articolato e vicino allo spirito originario della saga, con le radiazioni nucleari al centro della questione, insieme al ruolo della razza umana nell'equilibrio naturale del mondo. E sotto il profilo dell'azione pura, dal momento che Edwards concentra in un lasso relativamente breve ma assai intenso i money shots che vedono Godzilla (o Gojira) alle prese con i mostri M.U.T.O. (Organismi Terrestri Massivi Non Identificati), regalando sequenze di pura magnificenza 3D (ancor più incredibile, visto che il film non è stato girato direttamente in 3D) e gestendo al meglio la presenza scenica delle creature. Da questo punto di vista, per quanto paradossale possa sembrare, Edwards mostra di avere sviluppato un feeling superiore con i mostri (Monsters recita peraltro il titolo del suo lavoro precedente) che con gli umani. Dove questi ultimi, ad eccezione di Bryan Cranston, sono caratterizzati da un'inespressività dovuta a limiti invalicabili (Taylor-Johnson, Olsen) o a svogliatezza (Watanabe, Hawkins, Strathairn), la morfologia e perfino la personalità dei mostri è gestita alla perfezione in ogni frame.
Campi lunghissimi e primi piani, incursioni improvvise nell'inquadratura che sfruttano costantemente gli spazi messi a disposizione da una San Francisco trasformata in arena (e fotografata da Seamus McGarvey con gli stessi toni grigi utilizzati in The Avengers); fino a una temeraria soggettiva di Godzilla che scruta gli eroici, minuscoli e folli paracadutisti mentre si gettano nella mischia per disinnescare l'ordigno nucleare. Una sequenza, quest'ultima, avvolta in un nero pece che non lascia scampo e sottolineata dalle musiche di Ligeti (o meglio, da quelle musiche di Ligeti, la stessa "Atmospheres" di 2001: Odissea nello spazio) che sarebbe di per sé una testimonianza sufficiente tanto delle qualità di Edwards che della sua spavalda ambizione.
Remake in genere significa necessità, condizionata dall'avvento di un upgrade tecnologico e forse dal fatto che tutto è già stato raccontato. Eroi e villain delle infanzie di generazioni ritornano così, incessantemente, in un loop che sembra non avere fine, alimentato da Cgi e 3D. Ma Gareth Edwards ridà vita a Godzilla in un remake intelligente, oltre che astuto. Che riesce a sussumere il doppio ruolo di blockbuster perfetto ed enigmatico oggetto di studio, soddisfacendo il divoratore di pop corn e insieme il cinefilo, coccolato da una successione di citazioni irresistibili. Rivivono schegge di Incontri ravvicinati del terzo tipo - un Bryan Cranston visionario e irriducibile - di Alien - la sequenza nelle Filippine e la progenie dei M.U.T.O. - o de Lo squalo, in uno dei molti momenti thrilling, quando Gojira arriva sulla spiaggia di Honolulu, generando uno tsunami immane. Ma soprattutto emerge una riflessione non banale sul ruolo dell'uomo nella scala evolutiva, che vede in Gojira un correttore darwiniano più che un distruttore, un gigantesco sistema immunitario a cui la Terra fa ricorso quando non esistono altri modi per ristabilire l'equilibrio.
Vicino quasi ai dinosauri di Malick, o al Totoro di Miyazaki, in un ruolo inedito di custode delle imperscrutabili leggi della natura. Compiendo in fondo il discorso originario di Honda Ishiro, e del terrore post-atomico giapponese, proprio di chi aveva toccato con mano l'apocalisse auto-inflitta dalla specie umana. Un discorso drammaticamente tornato di attualità negli ultimi anni, che ribadisce ancora una volta l'inadeguatezza e lo sperpero del libero arbitrio di un'umanità gretta e incauta, a cui forse solo Godzilla può porre rimedio.