mercoledì 31 dicembre 2014

Cinema: Lo Hobbit - La battaglia delle 5 armate


Nell'ultimo capitolo de Lo Hobbit forte unità narrativa con gli altri film e ritmo sincopato
Gabriele Niola

La battaglia delle cinque armate Smaug ha deciso di scatenarsi dando fuoco a Pontelagolungo e ai suoi abitanti. Mentre i nani, inermi, guardano la scena dalla montagna, in un delirio di fughe disperate solo Bard decide di combattere il drago riuscendo in extremis a penetrare l'unico punto scoperto della sua dura scorza con una sola grande freccia. Sconfitta la creatura si apre uno scenario ancora più truce: la montagna è libera e il tesoro dei nani incustodito, la notizia si sparge in fretta e, vista la bramosia di Thorin nel tenere l'oro per sè, alle porte si prepara un conflitto tra l'esercito degli elfi e degli uomini (desiderosi di vedere rispettata la promessa fattagli dal nano ora "re sotto la montagna"), quello dei nani accorsi a difendere il loro simile e il grande nemico di Thorin, desideroso d'oro e vendetta. In mezzo a tutto ciò Bilbo ha rubato la bramata Arkengemma e deve decidere che farne. Parte con un enjambement narrativo il terzo ed ultimo capitolo di Lo Hobbit, riprendendo per una breve introduzione (finita prima ancora della comparsa del titolo) gli eventi durante i quali Peter Jackson era andato a capo al termine del capitolo precedente, ovvero la furia del drago Smaug. È una delle trovate di adattamento più efficaci del film, gli dona da subito un ritmo sincopato e conferma la forte unità narrativa che questa serie di tre film vuole avere. Tuttavia da quel momento in poi il resto di La battaglia delle cinque armate è molto fedele al suo titolo e preferisce l'estesa e spesso noiosa rappresentazione dei conflitti tra diversi eserciti ai molti altri spunti che la parte terminale del libro originale offriva. Dopo che per 5 film abbiamo visto diversi re all'opera e diversi umani sudare per guadagnare il proprio ritorno a quella carica (Aragorn prima e Bard qui), ora Peter Jackson vuole mettere sotto i riflettori proprio i conflitti di re e condottieri (veri protagonisti della storia), divisi tra chi insegue ossessioni personali e chi pensa al benessere del proprio popolo. Se già in La desolazione di Smaug era possibile notare quanto la leggerezza del romanzo da cui tutto parte venisse appesantita per avvicinare questa trilogia a quell'altra, tratta dal più noto volumone di Tolkien, in questo la trasformazione è quasi completa, così anche i piccoli inserti di umorismo o le facezie più semplici, che dovrebbero segnare la differenza tra i due racconti, sembrano forzate, meccaniche e mal amalgamate con il resto. Nella volontà di creare più di un ponte narrativo con Il signore degli anelli questo film finale di Lo Hobbit introduce personaggi e tematiche, anticipa eventi e prepara alla grandezza degli scontri in un lungo ripetersi di nomi (sia di luoghi che di persone) e luccicar di sguardi. Nel chiudere il viaggio di Bilbo Baggins Peter Jackson sceglie infatti la grande epica, ne allarga il respiro e vi inserisce molte invenzioni (più che in qualsiasi altro film), all'insegna di una serie di conflitti titanici tra eterni nemici e grandi poteri, di storie d'amore molto convenzionali e sentimenti sbandierati. Il risultato purtroppo è che una serie di film che è stata in grado di cambiare nel corso degli anni 2000 molto di quello che si pensava dovessero essere i blockbuster, finisce con le più tipiche dichiarazioni d'amore smielate, domande retoriche e svelamenti banali. Rimane così schiacciato uno dei temi più presenti nell'opera tolkeniana che l'adattamento filmico di Il signore degli anelli rispettava molto, l'idea che le cose più piccole, gli elementi più trascurabili e le persone meno in vista possano essere le più importanti, che la storia la facciano più gli anelli di semplice fattura, cui nessuno dà importanza, o i piccoli uomini di cui tutti si prendono gioco che i grandi condottieri.

Meglio del secondo, anche se sembra di rivedere il Signore degli Anelli, per certi versi.


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