giovedì 12 novembre 2015

Cinema: Suburra

Che film. Si rimane attaccati alla sedia dall'inizio alla fine. Film duro, vero, ottimamente recitato, che non fa sconti, asciutto.
Uno dei più bei film visti nell'anno, se non il migliore.
Il commento qui sotto, che riporto per completezza, non mi trova ovviamente del tutto d'accordo.


Suburra è ottimo cinema medio ma sceglie di rinunciare alla grandezza
Paola Casella      *  *  *  -  -

12 novembre 2011. Silvio Berlusconi rassegna le sue dimissioni da Presidente del Consiglio. La storia di Suburra, basato sul romanzo omonimo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, comincia sette giorni prima, immaginando che proprio allora Papa Ratzinger prenda la storica decisione di abbandonare il ruolo di pontefice. Il film è dunque incorniciato da due abbandoni "paterni", è dedicato da Stefano Sollima al padre Sergio, e racconta l'assenza (o la defezione) delle figure maschili di riferimento nella società italiana, attraverso le avventure di un gruppo di uomini cui viene continuamente ripetuto di non essere all'altezza del proprio genitore.
C'è Filippo Malgradi, politico corrotto e dissipato, che passa la notte con due escort, di cui una minorenne, e si caccia in un ginepraio senza fine. C'è Sebastiano, organizzatore di feste vip abituato a fare il vaso di coccio fra vasi di ferro. C'è Numero 8, giovane boss della malavita di Ostia che sogna di trasformare il litorale romano in una Las Vegas, come Bugsy Siegel. C'è Manfredi Anacleti, capo di un clan di zingari che vorrebbe fare il salto nel crimine di serie A. E ci sono Sabrina, l'escort che fornisce la "carne fresca" a Malgradi, e Viola, la compagna tossica di Numero 8. I destini di tutti i personaggi sono destinati ad incrociarsi illuminando il legame che esiste da sempre (o almeno dai tempi della Suburra romana) fra criminalità e potere politico.
Dopo il coraggioso ACAB e la serie televisiva Gomorra, Sollima si cimenta con questo "romanzo criminale" cercando di dargli il respiro della lunga serialità, ma sacrificando nell'impresa molti snodi narrativi che sarebbero necessari per capire fino in fondo la trama: qui e là la sceneggiatura, firmata da Stefano Rulli e Sandro Petraglia oltre che da De Cataldo e Bonini, dimentica infatti di comunicare al pubblico dettagli importanti sul come, il quando e il perché avvengano determinati eventi e scambi di informazioni. A molti spettatori questo non importerà, presi come saranno dall'incalzante ritmo narrativo che Sollima imprime alle vicende e a i personaggi: la sua regia è impeccabile, energica, bizantina, fa leva su inquadrature calibrate al millimetro e sulla fotografia opulenta di Paolo Carnera. In questo senso Suburra è una goduria per gli occhi e avrà quel riscontro del pubblico che cerca incessantemente.
Azzeccato anche il cast, su cui giganteggia Pier Francesco Favino in un'interpretazione che ha mille sfumature, evidenti già dalla prima scena. Il lavoro che Favino opera sulla voce, sulla postura, su uno sguardo che passa dalla morte dell'anima alla virulenza dell'istinto vitale è da Actor's Studio (e da incetta di premi). Lo affiancano un solidissimo Claudio Amendola nel ruolo del Samurai, l'unico personaggio veramente adulto della storia (e non è una buona notizia, essendo il Samurai un ex componente della Banda della Magliana); Elio Germano, untuoso publicist senza spina dorsale; Alessandro Borghi, nitido e potente Numero 8; Giulia Elettra Gorietti, escort fragile e corrotta; Greta Scarano, tossica fedele e a suo modo coerente. Il pubblico si divertirà a capire a quale personaggio realmente esistitente ognuno dei personaggi fa riferimento niente affatto casuale (e anche l'Ama fa un cameo non accreditato).
Il tallone d'Achille di Suburra resta la storia, che mostra sì una conoscenza approfondita delle dinamiche politiche e del sottobosco del generone romano, ma sembra conoscere (o capire) molto meno bene il mondo della criminalità, fumettizzandone i modi e i caratteri. Se i politici di Suburra e la corte dei miracoli di nani e ballerine sono riconoscibili alla lettera, i criminali sembrano gaglioffi da cinema, il che risulta ancora più evidente nell'accostamento (quasi impossibile da evitare) fra il film di Sollima e Non essere cattivo di Claudio Caligari, girato proprio fra i piccoli malviventi di Ostia (e cointerpretato da Alessandro "Numero 8" Borghi). Quel che è più grave è che, in questa ricostruzione del momento in cui l'Italia si è trovata "sull'orlo del baratro", non vengono messi in evidenza i prodromi della crisi di oggi, col risultato di mostrare un sistema di potere superato senza indicare in quale nuovo assetto si sarebbe riconfigurato.
Suburra è ottimo cinema medio ma sceglie di rinunciare alla grandezza, dunque pur nella sua estrema piacevolezza (soprattutto estetica) non sposta in avanti l'arte cinematografica nel suo complesso, né accresce la nostra comprensione della società italiana contemporanea. Eppure Sollima avrebbe tutte le carte in regola per uscire dalla dimensione artigianale e prendere il volo, come ha già dimostrato in ACAB, attraverso quella cifra autoriale tutta sua: sporca, ambigua, scorretta come la vita, soprattutto in certi ambiti. La sua grandezza potenziale è visibile in alcuni scambi: quello fra il Samurai e Malgradi; fra il Samurai e sua madre; fra il Samurai e Numero 8. Non è un caso, essendo il Samurai l'unico padre (ancorché degenere) la cui "idea sopravvive nel cuore", in questa storia di figli bastardi i cui "i referenti non esistono più", dove tutti tradiscono tutti e nessuno crede più a niente.

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