lunedì 30 settembre 2013

Milonga: Biko

Tre ore di pura distrazione.
Ballato con vecchie e nuove, senza troppo pensare. Divertito.

venerdì 27 settembre 2013

Cinema: Via Castellana Bandiera


Confronto tragico e lontano da qualsiasi purezza eroica, l'opera prima di Emma Dante ci lascia testimoni muti e agghiacciati

Samira ha tanti anni e un dolore grande: ha perso sua figlia, uccisa dal cancro e da una vita tribolata nella periferia di Palermo. Da sette anni la ritrova in un cimitero assolato e desolato, dove sfama cani e cuccioli prima di riprendere la strada di casa alla guida della sua Punto e a fianco di un genero ostile. Rosa ha una madre da lasciare andare e un passato da dimenticare a Palermo, dove accompagna Clara, la donna amata, al matrimonio di un comune amico. Inquieta e infastidita da una città da cui è fuggita anni prima, infila via Castellana Bandiera, un strada stretta e senza senso di marcia. In direzione ostinata e contraria arriva Samira e chiede il passo per raggiungere la sua casa a pochi metri dall'impasse. Contrariata e altrettanto risoluta, Rosa è decisa a mantenere la posizione. Irriducibili sotto il sole tenace di Palermo, Samira e Rosa si affronteranno in un duello che non contempla resa e retromarcia.
Di un uomo caduto morto in un duello non si penserà che "abbia dimostrato di essere in errore riguardo al proprio punto di vista", scrive Cormac McCarthy in "Meridiano di sangue". Allo stesso modo Emma Dante, regista teatrale che debutta al cinema, elude 'giustificazioni' o allineamenti, decidendo per il dicotomico senza stabilire una vittoria di una parte sull'altra o affermare quello che è giusto su quello che invece è avvertito come inopportuno. Rosa e Samira sono opposti che si osservano e si affrontano a una distanza limite. Figlia di un'altra madre e madre di un'altra figlia, sono selvagge votate alla distruzione vicendevole, corpi in stretto rapporto e dotati dello stesso corredo di dolore. La natura identica e testarda origina allora la tragedia, riflettendole geometricamente e impedendole a praticare la tolleranza e l'integrazione emotiva dell'altro. Calate in un clima 'pagano', che mette in scena le incomprensioni e le follie di una comunità, le protagoniste (si) ingombrano la strada del titolo e lasciano fuori campo il buco, un vuoto, uno strappo, una ferita 'non filmabile'. Oggetto di spettacolo diventa perciò la loro ostinazione all'immobilità. Schierate l'una di fronte all'altra come in un western classico veicolano pulsioni dissidenti e negative, infilando con via Castellana Bandiera il punto di non ritorno. Il duello, celebrazione dell'ordine sulle eventualità disgregative del disordine, nel dramma di Emma Dante genera al contrario una forza distruttiva che diventa espressione fondante della pulsione di morte dei suoi personaggi. Nessuno escluso. Non ci sono regole da stabilire (e da rispettare) in via Castellana Bandiera. Dove la forza produce un diritto e la gente abita lo stesso numero civico, c'è piuttosto da scommettere sul cavallo vincente. Acme del racconto, il duello made in Italy tra una Punto e una Multipla non risolve le tensioni create dalla narrazione ma le provoca definendo geometrie che si dispongono nella profondità delle protagoniste e da lì ripartono contaminando parenti, vicini, curiosi, avventori. Disagio e inesorabilità si distribuiscono frontalmente e si incarnano in donne incapaci di qualsiasi ricognizione, di qualsiasi compassione, di qualsiasi ripresa. Interpretato dalle efficacissime Elena Cotta e Emma Dante, 'affiancata' dalla Clara di Alba Rohrwacher, Via Castellana Bandiera è un film a imbuto che trascina idealmente e concretamente in un gorgo di smarrimento infinito i suoi personaggi. Confronto tragico e lontano da qualsiasi purezza eroica, l'opera prima di Emma Dante ci lascia testimoni muti e agghiacciati. Impossibilitati a intervenire inserendo la retromarcia per evitare la deriva e liberare la strada a un 'paese' bloccato e incapace di ripartire. Se non in direzione della collisione e del suo esito sciagurato.


lunedì 23 settembre 2013

Milonga: Biko

Riapre il Biko. Tutto immutato, posto, DJ, parquet.
La contemporanea apertura della Comuna e del Macao limita le presenze ad un numero onesto, ballabile.
Ho avuto particolare soddisfazione a ballare con una ragazza che sono sicuro mesi fa mi avesse fatto un pò di storie. Bene anche le altre fra vecchie e nuove.

sabato 21 settembre 2013

MITO: Serata di chiusura - Tango y mucho mas



Bella serata anche per "non addetti". Esibizioni, musica dal vivo, bandoneon, cantanti.
Ballato quais nulla ma divertito.
Con Gio e Betta



lunedì 16 settembre 2013

Milonga: Gotan Night alla Comuna

Grande ritorno della Gotan Night.
Tutto come si deve. La musica è sempre bella e il parquet perfetto.
Tante facce vecchie e nuove.
Ballato abbastanza con delle ballerine brave.


domenica 15 settembre 2013

MITO: Basilica di San Marco: Padre Davide da Bergamo


Padre Davide da Bergamo

Suonata
Elevazione
Gran Rondò
Suonatina per Postcomunio
Polonese
Alla Comunione
Ultima composizione (12 luglio 1863)
Suonatina per Offertorio
Sinfonia

Giancarlo Parodi, organo

Padre Davide da Bergamo (1791-1863), il frate musicista, amico di Mayr e Donizetti, trasferì nella musica d’organo il linguaggio del melodramma risorgimentale, il virtuosismo strumentale e le risorse sonore dell’orchestra.
Con lui si avviò il concertismo organistico italiano.

venerdì 13 settembre 2013

MITO: Mozart


Conservatorio “G. Verdi” di Milano
Sala Verdi
Wolfgang Amadeus Mozart

Ouverture da Le Nozze di Figaro K. 492

Concerto in re minore per pianoforte e orchestra K. 466

Ouverture da "Così fan tutte" K. 588

Concerto in la maggiore per pianoforte e orchestra K. 488

Orchestra da Camera di Mantova
Maria João Pires, pianoforte

lunedì 9 settembre 2013

Milonga: Comunavez dj Auslander

cito per cronaca, non ero nelle condizioni fisiche e psicologiche per apprezzare o meno la serata.
Peccato

venerdì 6 settembre 2013

Milonga: Che Bailarin

Prima uscita dopo le ferie. Arrugginito e un po seccato dal ritardo precedente.
Parlato molto e ballato molto poco e con poca fantasia.
Il posto in verità non mi piace un gran che, specie il tipo di gente che lo frequenta.
Ballato solo con Daniela e Sonia

Musica: Requiem around Requiem

Il Requiem di Giuseppe Verdi
in versione contemporary jazz
Giovanni Falzone Contemporary Orchestra
Giovanni Falzone, tromba, arrangiamenti e direzione
Joo Cho, soprano
Mansu Kim, baritono

operazione interessante ed a tratti bella. Io mi aspettavo "più" Verdi ed ho un po sofferto, ma il concerto è stato piacevole.
Tanta voglia di andar ea visitare il Cimitero Monumentale

giovedì 5 settembre 2013

Cinema: il fondamentalista riluttante


centro sta il giovane professore Changez Khan. Il sequestro di un suo collega americano fa precipitare la situazione. È proprio in questo momento delicato che Khan accetta di farsi intervistare dal giornalista americano Bobby Lincoln al quale decide di raccontare la propria vita di giovane professionista rampante nel campo della finanza, cooptato dal capo di un grosso studio newyorchese che ne individua le notevoli capacità. Nell'ambiente della upper class Changez sembra aver anche trovato l'amore nell'artista fotografica Erica. Tutto va bene per lui quindi fino a quando l'11 settembre 2001 cambia di colpo le prospettive. La sua vita comincia a mutare di segno: è diventato improvvisamente l'islamico da amare od odiare, non più una persona.
Chi ricorda il film collettivo 11.09.01 in cui si raccoglievano corti di eguale durata che facessero riferimento all'attentato alle Twin Towers non può aver dimenticato l'episodio diretto da Mira Nair in cui si raccontava di uno studente in medicina pakistano residente a New York scomparso dopo il crollo e sospettato di legami con Al Qaeda. Fino a quando il suo corpo non venne ritrovato e si capì che era morto nel prestare soccorso. Lì si trovano le radici di questo film che non mancherà di suscitare contrasti. A partire da uno del tutto interno al subcontinente indiano perché un'indiana si permette di girare un lungometraggio sulla cultura di un Paese confinante ma ostile (in cui il padre della regista era stato giovane). Tutto ciò non passerà senza polemiche. C'è poi la riflessione su come si può diventare integralisti vista non più attraverso il reclutamento nelle fasce più incolte della popolazione di una manovalanza pronta anche ad immolarsi. Changez proviene da una famiglia non più abbiente ma di classe medio alta. Ha un padre poeta con un suo seguito nel Punjab e si inserisce, grazie alle sue doti, in uno Studio di valutazione finanziaria che lo mette in contatto con settori del establishment newyorkese.
Più che nell'esplicito confronto/scontro/tentativo di comprendersi tra Changez e Bobby, la chiave di lettura del film sta nel sottoplot sentimentale. È proprio nel territorio apparentemente tutto da costruire del sentimento che si rivelano le crepe più insidiose destinate a far crollare un'integrazione possibile. Perché inizialmente il giovane pakistano deve compiere una sorta di mimesi nella relazione per cercare di far superare una difficile elaborazione del lutto. Si troverà amato, anche dopo l'11 settembre. Ma come diverso, quasi nonostante. Come se la colpa di alcuni si rovesciasse su tutti. Mira Nair non dimentica poi di sottolineare come l'eliminazione dal mondo del lavoro di migliaia di persone sia una forma di omicidio in guanti bianchi. Ce lo ricorda con una breve scena in cui il padre di Changez, uomo di lettere ma ben radicato nella realtà, gli fa notare come un sentimento di empatia possa nascere dal confronto diretto con la realtà. I licenziati invece sono solo numeri in una statistica. Così come un ostaggio eliminato brutalmente o un giovane ucciso accidentalmente possono essere immagini che il mondo potrà utilizzare per continuare ad alimentare l'odio oppure superficialmente dimenticare in fretta.

Gran bel film, teso e pieno di spunti di riflessione.

domenica 1 settembre 2013

Cinema: Elysium


Nella Los Angeles del 2154 l'umanità rimasta sulla Terra è un'unica grande classe operaia, che mescola criminali e lavoratori senza criterio, tutti tenuti a bada e dominati con pugno di ferro attraverso i robot da un'elite che da tempo è andata a vivere su una stazione orbitante intorno al pianeta chiamata Elysium. Su Elysium c'è la tecnologia per guarire da ogni malattia, c'è il verde, il benessere e il disinteresse per ciò che accade più in basso, sulla Terra, dove il resto dell'umanità lavora per mantenere la stazione.
Un giorno un operaio con precedenti penali ha un incidente nella catena di montaggio e viene esposto ad una quantità mortale di radiazioni. Gli rimangono più o meno 5 giorni di vita e l'unica tecnologia in grado di curarlo si trova su Elysium. Per arrivarci senza autorizzazione e senza essere abbattuto prima dell'atterraggio occorrerà fare accordi con i criminali.
Quella della divisione netta tra una piccola fetta di popolazione ricca e dotata di qualsiasi privilegio, che mantiene uno stile di vita spensierato sfruttando il lavoro della massa di poveri, è una delle distopie cinematografiche più frequenti, una visione iperbolica del nostro presente proiettata in un futuro deteriore che ha contaminato tutto il cinema fin daMetropolis. E che proprio ad un regista come Neil Blomkamp sia stato affidato un film con una premessa così consueta è la pecca produttiva più grande del film. Nelle mani dell'autore di District 9 la storia è naturalmente sbilanciata verso il mondo dei poveri, ritratto con ammirabile dettaglio e mania per la creazione di meccanismi vessatori, scenari disperati e incubi operai, prelevati da un immaginario che poco ha a che vedere con la fantascienza ma pesca a piene mani dal cinema più realistico e sociale.
Purtroppo però Elysium nel portare avanti la sua storia di rivoluzione operaia e riconquista della giustizia a dispetto del progresso tecnologico non riesce a trovare il furore del film precedente, nè quell'equilibrio tra finzione e metafora del reale che avrebbe consentito di portare un passo più avanti l'usuale sottotesto sociale del cinema distopico. Solo le astronavi colme di disperati in cerca di salvezza che vengono abbattute senza pietà prima di arrivare su Elysium, riescono ad essere un'immagine dotata della forza e dell'intelligenza che riconosciamo al regista sudafricano.
Semmai è più interessante la visione che Blomkamp ha della Los Angeles del 2154, totalmente bilingue (inglese-spagnolo), quasi uguale a quella contemporanea nelle tecnologie e nella moda (veicoli volanti a parte), colma di rifiuti come in Wall-E e non lontana per certi versi dalla fantascienza anni '60, quella dei robot ubiqui che sembrano pupazzoni inerti da fiera di paese. Andando a girare il suo antifuturo nelle vere baraccopoli del Messico, Elysium svela la vicinanza con l'oggi e come la parte più cara all'autore non sia la lotta per la conquista del benessere che i ricchi tengono per sè (ben rappresentato dalla possibilità di guarire da ogni malattia) o lo scontro fisico con i luogotenenti di Elysium presenti sulla Terra (che appare molto forzato nella sua lunghezza) ma sia invece lo sforzo disperato costituito dal sopravvivere e crescere nei ghetti o nelle periferie del pianeta, evitando come possibile l'ubiqua criminalità e inseguendo la vaga speranza di un domani migliore. L'epica di un futuro in cui tutto è andato male che è visivamente identico all'oggi.