giovedì 25 luglio 2013

Milonga: Spazio A sala piccola

Sono andato là senza aspettative. Pensavo ci sarebbe stata poca gente ed avrei ballato forse due tande e poi a letto presto.
Invece ho trovato gente, dirie la giusta quantità, quasi tutta nuova. Ballerine magari non tutte di alta qualità tanguera ma comunque piacevoli. Ballato tanto, compatibilmento con il caldo umido e soffocante che faceva nella sala e costringeva a frequenti soste all'esterno per calmare la sudorazione.
Un buon finale di stagione.

mercoledì 24 luglio 2013

Cinema: La cuoca del presidente


Hortense Laborie cucina per gli operai impegnati in una missione in Antartico. Ruvida e riservata, Hortense è una cuoca sopraffina che ha lasciato molti anni prima la sua fattoria nel Périgord per accettare un ruolo prestigioso all'Eliseo, dove si è presa cura della dieta del Presidente. Nonostante le insistenze di collaboratori e amici, Hortense non ama parlare di quegli anni e si rifugia in cucina a preparare un'ultima cena prima di ripartire di nuovo alla ricerca di una terra che possa accogliere lei e la sua coltivazione di tartufi. Per quanto provi a ricacciarli, i ricordi però riemergono e con quelli le gelosie di 'palazzo' patite ad opera di chef invidiosi che non hanno mai riconosciuto il suo talento e la preziosità dei suoi menù. Meschini e preoccupati, le complicarono la vita e le boicottarono la cucina, costringendola alle dimissioni. Ma adesso che è lontana, in quella terra battuta da venti gelidi, Hortense recupera il sapore dolce dell'amicizia che l'ha legata al Presidente della Repubblica francese.
Al cinema piace infilarsi in cucina, trasformando il cibo in protagonista e il racconto in convivialità. Cinema 'da bere' e 'da mangiare' è pure il film umanista di Christian Vincent, che mette in scena il vivere con quell'oscillazione tra il dramma e la commedia che è proprio della vita stessa. Liberamente ispirato alla storia di Danièle Delpeuch, cuoca della regione del Périgord, arruolata nel 1986 all'Eliseo per soddisfare appetito e gusto di François Mitterrand, La cuoca del Presidente ci introduce nell'alta cucina dimostrandoci che è un sistema chiuso dotato di rituali e regole che vanno rispettate o infrante ma solo dopo essere state ben apprese.
Romanzando l'avventurosa vita della Delpeuch, il regista francese realizza il profilo sincero di una donna che vive come cucina, sperimentando nuove esistenze e nuovi sapori senza perdere mai il piacere delle proprie radici. Lontana dalla sua fattoria, in missione in Antartide o in ricerca in Nuova Zelanda, per Hortense Laborie cucinare è l'unica cosa che conta e l'unico modo che conosce per integrarsi. Determinata e democratica, mette il suo talento al servizio di proletari o governanti producendo piatti che hanno la perfezione di un verso poetico e che traducono in forme perfette la tradizione culinaria francese. La cuoca del Presidente pratica la leggerezza e il sorriso, spostandosi indietro nel tempo e illustrando allo spettatore il passato di Hortense e i marosi che l'hanno spiaggiata sull'isola dove adesso vive il presente e da cui riparte per il futuro. Perché la vita per la Du Barry, come la chiamavano gli ostili colleghi della cucina centrale, è come uno dei suoi menù, in cui ogni portata ha valore per sé e valore in relazione alle altre. Per capire un'esistenza bisogna allora legare le parti, equilibrarne i frammenti e poi servirla ai commensali come un dono, una promessa a due passi dalla bocca. Alla maniera della protagonista, Christian Vincent 'cucina' il suo film separando e ricomponendo in forma ordinata la materia prima che compone Hortense.
Le portate servite, di cui si sentono addirittura i profumi e di cui ci si sazia con gli occhi, diventano il sottotesto che fa emergere differenze di vedute tra chi produce, vende, tratta, critica, ama i prodotti gastronomici francesi. I dialoghi piacevolissimi tra Hortense e il presidente, pieni di suggestioni filosofiche, storiche e antropologiche, rivelano un universo tutt'altro che elitario ma depositario di una ricchezza umana ingente, senza sospetto di nostalgia per il passato fine a se stessa.

Cosi cosi. La protagonista non la si ama ne la si odia, non si riesce ad entrare nella storia, che era interessante. 

lunedì 22 luglio 2013

Milonga: Biko

Ultimo Biko della stagione almeno per me). Musica dal vivo di un gruppo italiano che fa tanghi classici. Caldo bestiale e gente ma non folla.
Per caaso piu che per scelta ho ballato quasi esclusivamente con ballerine conosciute: Elisabetta bionda, Laura, Sonia. Unica eccezione una strana donna, forse sudamericana, brava, che mi ha concesso giustamente solo due tanghi (ero stanco e ballavo non benissimo).
Buona serata, non ottima

Ristorante: La cantina di Manuela

con Betta e Gio.
Deve essere cambiato il cuoco, se non la gestione in toto. Il menu è molto piu ricco e le proposte più cucinate, ed anche bene.
Prezzo non popolare (sui 50) ma mangiato bene

domenica 21 luglio 2013

Cinema: Pacific Rim

Due ore di intrattenimento eccessivo, rutilante, perfetto per i nostalgici della fantascienza



Da una breccia inter-dimensionale creatasi nel profondo dell'Oceano Pacifico emergono i kaiju, mostri alieni giganteschi, con il solo scopo di cancellare l'umanità dalla faccia della Terra. Al fine di sopravvivere, le varie nazioni uniscono le proprie forze, cercando di contrastare l'invasione con il progetto Jaeger, che consiste nella creazione di enormi robot in grado di combattere ad armi quasi pari i terribili invasori; a comandarli due piloti, le cui menti vengono connesse da un ponte neuronale. Dopo aver perso il proprio fratello e co-pilota in un conflitto e aver lavorato alla costruzione di una muraglia di difesa, Raleigh Becket sembra essere l'ultima risorsa per sventare una vera apocalisse.
A cinque anni da Hellboy: The Golden Army, Guillermo Del Toro torna alla regia con un film smisurato almeno come le battaglie che mette in scena. Eccessivo, rutilante, perfetto per i nostalgici di un certo tipo di fantascienza - il genere "mostri giganti contro robot giganti" - che arriva fino a Neon Genesis Evangelion e oltre, Pacific Rim offre due ore di intrattenimento a colpi di scontri e immagini titaniche, di paesaggi devastati e prevedibilissimi percorsi di riscatto. Eppure sotto al rumore, l'autore di Il labirinto del fauno si sente, ben al di là dell'enfasi emotiva di cui sono imbevute molte situazioni e di un meccanismo narrativo che non riserva alcun tipo di sorpresa. Anche in un blockbuster in piena regola come questo si avverte, infatti, il desiderio di sprofondare nella fascinazione per il meraviglioso, nella sfida all'ordinario, nella stilizzazione propria del fumetto. Riscrittura del genere kaijū eiga portata avanti con spirito appassionato, il soggetto di Travis Beacham fila liscio su binari prestabiliti, senza deviazioni o imprevisti, innalzandosi dalla propria intrinseca medietà grazie ad un occhio più attento a ciò che accade intorno ai pur pregevolissimi combattimenti tra mostri e robot: non tanto nelle dinamiche e nello sviluppo dei personaggi, quasi tutti monodimensionali in realtà, ma nell'inusuale attenzione all'aspetto dato a un pianeta in ginocchio, in cui le città sono cumuli di macerie tra rifugi e postriboli nei quali i resti dei kaiju sono oggetto di un organizzatissimo mercato nero; tra i personaggi più memorabili spicca proprio Hannibal Chau, trafficante di organi alieni cui presta il volto Ron Perlman, attore caro al regista sin dai tempi di Cronos. Quelli che potrebbero sembrare i maggiori difetti del titolo, l'alternarsi tra ignizioni di testosterone e massicce dosi di retorica (mai patriottica, piuttosto sentimentale, di genere potremmo dire), sono in parte ribaltati da una maturità di fondo assente in simili prodotti: la spiegazione della venuta dell'apocalisse, di fatto, inchioda l'uomo ai suoi stessi comportamenti, a una diffusa mancanza di saggezza. E non è poco. Nella mente del cineasta messicano, che firma la sceneggiatura insieme a Beacham, il progetto a lungo inseguito di una riduzione del lovecraftiano "Le montagne della follia" ha comunque sedimentato.

Nonostante i commenti negativi della critica si tratta di un "filmone" tutto combattimenti, ma godibile e con un certo pathos. Divertente

sabato 20 luglio 2013

Van de Sfroos in concerto a Milano





Hangar Bicocca: Mike Kelley

Eternity is a Long Time / A cura di Emi Fontana e Andrea Lissoni


La mostra
HangarBicocca presenta Mike Kelley: Eternity is a Long Time, una mostra unica che approfondisce il lavoro dell’artista statunitense Mike Kelley (Detroit, 1954 – Los Angeles, 2012) in un percorso aperto che si snoda tra installazioni, video e sculture realizzate principalmente tra il 2000 e il 2006: opere di grande intensità che rappresentano al meglio il complesso e visionario universo espressivo di una delle figure più influenti dell’arte contemporanea. Un intreccio di elementi culturali e ricordi autobiografici caratterizza l’opera di Mike Kelley: il rapporto con l’educazione, il legame con l’architettura modernista, la relazione con la tradizione della pittura e della letteratura statunitense, il confronto con la cultura popolare e vernacolare, i riti iniziatici giovanili e gli stili delle sottoculture musicali.
La mostra si apre con Extracurricular Activity Projective Reconstruction #1 (A Domestic Scene) e Runway for Interactive DJ Event, due installazioni (presentate insieme alla prima personale italiana di Mike Kelley presso la Galleria Emi Fontana di Milano nel 2000) che rappresentano una svolta fondamentale nella ricerca dell’artista, testimoniandone l’inizio del periodo creativo più prolifico. “Eternity is a Long Time”, che dà il titolo alla mostra, è inoltre la frase pronunciata da uno dei due attori del video Extracurricular Activity Projective Reconstruction #1 (A Domestic Scene) al partner prima che entrambi si tolgano la vita.
Altra installazione centrale della mostra è John Glenn Memorial Detroit River Reclamation Project (Including the Local Culture Pictorial Guide, 1968-1972, Wayne/Westland Eagle) del 2001, ispirata a un monumento dell’astronauta John Glenn a cui il liceo frequentato da Mike Kelley era dedicato e ricoperta da frammenti di vetro e ceramica colorati recuperati dallo stesso Kelley nel fiume di Detroit. Tecniche artistiche nobili e processi tipici di un approccio vernacolare, memoria personale e collettiva, immaginario mediatico e cultura popolare si intrecciano in un’opera emblematica.

Il progetto deve la sua unicità al coinvolgimento di Emi Fontana - curatrice italiana che vive a Los Angeles e che ha lavorato con Mike Kelley in un rapporto di stretta collaborazione negli ultimi quindici anni - e all'esperienza di Andrea Lissoni nel concepire formati espositivi unici ed innovativi per HangarBicocca. Per la realizzazione di Mike Kelley: Eternity is a Long Time si ringrazia la Mike Kelley Foundation for the Arts e tutti i prestatori delle opere.

Mike Kelley, John Glenn Memorial Detroit River Reclamation Project (Including the Local Culture Pictorial Guide, 1968-1972, Wayne/Westland Eagle), 2001
Dettaglio. Foto: Fredrik Nilsen. Rennie Collection, Vancouver
All Mike Kelley works © Estate of Mike Kelley. All rights reserved

Mostra piena di angoscia. Non mi è piaciuta molto, non ho capito il perchè. ma c'era una diffusa sensazione di disagio.


martedì 16 luglio 2013

Cinema: No - I giorni dell'arcobaleno



1988. Il dittatore cileno Augusto Pinochet è costretto a cedere alle pressioni internazionali e a sottoporre a referendum popolare il proprio incarico di Presidente (ottenuto grazie al colpo di stato contro il governo democraticamente eletto e guidato da Salvador Allende). I cileni debbono decidere se affidargli o meno altri 8 anni di potere. Per la prima volta da anni anche i partiti di opposizione hanno accesso quotidiano al mezzo televisivo in uno spazio della durata di 15 minuti. Pur nella convinzione di avere scarse probabilità di successo il fronte del NO si mobilita e affida la campagna a un giovane pubblicitario anticonformista: René Saavedra.
Pablo Larrain, che il pubblico italiano conosce per i suoi precedenti Tony Manero e Post Mortem, affronta in modo diretto una delle svolte nodali della storia cilena recente. L'aggettivo è quanto mai appropriato perché la scelta radicale di utilizzare una telecamera dell'epoca offre al film una dimensione del tutto insolita. Il passaggio dal materiale di repertorio (dichiarazioni di Pinochet e cerimonie che lo vedono presente così come interventi dei rappresentanti dell'opposizione dell'epoca) alla ricostruzione cinematografica diviene così inavvertibile. Il pubblico in sala si trova nella situazione di chi sta compiendo una full immersion nel passato.
Tutto ciò all'interno di una ricostruzione che mostra, attraverso il personaggio di Saavedra, come la repressione fosse stata forte e come il regime fosse convinto che fosse sufficiente accusare qualsiasi avversario di 'comunismo' per poter vincere. Non manca però anche di sottolineare come tra i sostenitori del NO non fossero pochi quelli che non avevano compreso quanto fosse indispensabile impostare una campagna di comunicazione che andasse oltre la riproposizione delle pur gravissime colpe del dittatore per approdare a una proposta che parlasse di vita, di gioia, di speranza nel futuro e non di morte. E' in questo ambito che il personaggio impersonato con grande understatement da Gael Garcia Bernal si trova a muoversi consapevole, inoltre, della difficoltà di contribuire alla riuscita di un fondamentale cambiamento del proprio Paese partendo dalle proprie basi di eccellente imbonitore. Pronto, una volta ottenuto l'esito sperato, a tornare a promuovere telenovelas.


lunedì 15 luglio 2013

Milonga: Hierba Negra


joint venture estiva fra Bocanegra e Hierba buena.
La location è lo Zoo Latino, mega discoteca Latino Americana. Al tango sono dedicate due piste, una per il tradizionale ed una per il nuevo.
Non tanta gente, specie al nuevo, quindi non facilissimo invitare, specie ad inizio serata. Livello delle ballerine medio/medio-basso con le eccezioni delle maestre e assimilabili presenti.
Quindi ballato un bel numero di tande ma con relativa soddisfazione. Unica eccezione la tanda con Carol, uno strano tipo di ballerina che danza a piedi nudi e che vanta esperienze di classica, danza del ventre, moderno, etc. Balla un tango piuttosto personalizzato ma divertente.
Purtroppo ho fatto molto piu tardi di quello che avrei voluto

venerdì 12 luglio 2013

Ristorante: Il Sole di Ranco


Il Sole di Ranco mi ha visto seduto ai suoi tavoli per parecchi anni di seguito, sempre a Luglio in occasione di compleanni.
Quando ho iniziato a frequentarlo era uno dei migliori ristoranti italiani, con un offerta particolare e riconoscibile ed una location veramente suggestiva.
Ci sono tornato dopo sei anni di assenza.
Il posto è sempre splendido, con una vista mozzafiato sul lago, con una pergola sotto la quale si cena al fresco... ma
ma l'atmosfera non è più quella dei tempi ruggenti, c'è come un velo di decadenza che si vede nelle piccole cose, ma che chi conosce il locale non può non notare.. Il sommelier non c'è più, i camerieri sono meno e alle prime armi, la piccola pasticceria è minima, dal menu è scomparso "l'immagine del sole" il menu degustazione che presentava il meglio della cucina.
Si mangia sempre molto bene, su questo non c'è che dire, e la serata si svolge senza intoppi e piacevolmente.

mercoledì 10 luglio 2013

Burning Desire Tour: Jaguar & Martini

Talvolta (poche in realtà) fare il mio lavoro ti da delle occasioni di essere in posti dove altrimenti non potresti essere o far ecose inaspettate. Cosi sono stato invitato alla tappa milanese del tour organizzato da Jaguar e Martini, all'Innvillà di Milano.
Ed ho potuto fare un test Drive su una Jaguar F-Type... come fossi James Bond..





martedì 9 luglio 2013

Milanesiana: I SEGRETI DELLA MUSICA E DELLA LETTERATURA





Ultimo appuntamento della sezione La rosa monografica e della quattordicesima edizione de La Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, promossa dalla Provincia di Milano, con il sostegno del Comune di Milano, in collaborazione con la Regione Lombardia e Commissione Europea e organizzata da I Pomeriggi Musicali/Teatro dal Verme con la collaborazione della Fondazione Corriere della Sera.

Martedì 9 luglio, alle 21, la Milanesiana chiude al Teatro Outoff con un appuntamento dedicato ai segreti della musica e della letteratura. A sorpresa apre la serata, con una lettura inedita sul tema del segreto, Walter Siti, neovincitore del Premio Strega 2013 con il suo ultimo romanzo Resistere non serve a niente, la cui uscita, lo scorso anno, era stata salutata proprio a La Milanesiana, nella sezione filosofia. Dopo di lui, il prologo dello scrittore russo, ma italiano di adozione, Nicolai Lilin, il cui romanzo d’esordio, Educazione siberiana, scritto direttamente in italiano e diventato subito un caso editoriale, è stato portato sul grande schermo dal regista premio Oscar Gabriele Salvatores e interpretato, tra gli altri, dall’attore John Malkovich. Dopo di lui, sul palco dell’Outoff, lo scrittore sardo Flavio Soriga, in libreria con il suo ultimo romanzo, Metropolis, e Paolo Fresu, compositore, trombettista, flicornista e straordinario jazzista di fama internazionale, ci propongono una performance tra letteratura, musica e improvvisazione.
Serata a ingresso libero fino ad esaurimento posti. È necessaria la prenotazione al numero 02/34532140, attivo dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 18.00. I biglietti potranno essere ritirati il giorno stesso dello spettacolo, alla biglietteria del Teatro Outoff, dalle 19 alle 20.

WALTER SITIOriginario di Modena, vive a Roma. Ha insegnato nelle università di Pisa, Cosenza e L’Aquila. È il curatore delle opere complete di Pier Paolo Pasolini. Tra i suoi libri ricordiamo La magnifica merce (2004), Troppi paradisi (2006) e Il contagio (2008), di cui Il canto del diavolo è la naturale prosecuzione. Il suo ultimo libro, Resistere non serve a niente, ha vinto il Premio Strega 2013.

NICOLAI LILINÈ uno scrittore russo di origine siberiana, nato nel 1980 a Bender, in Transnistria (stato indipendente riconosciuto oggi come Repubblica Moldava, ma all’epoca facente parte dell’Unione Sovietica). Dal 2004 si è trasferito in Italia. Nel 2009 pubblica Educazione siberiana, il suo romanzo d'esordio, scritto direttamente in italiano, che diventa subito un caso editoriale. Il libro è stato tradotto in venti lingue e ha venduto finora i diritti a ventiquattro altri paesi nel mondo. Seguono i romanzi Caduta libera (2010), Il respiro del buio (2011) e Storie sulla pelle (2012). Nel 2013 Educazione siberiana viene portato sul grande schermo dal regista premio Oscar Gabriele Salvatores, tra gli interpreti è presente anche l’attore John Malkovich. Oltre a dedicarsi alla scrittura, Nicolai Lilin scrive per diverse testate, insegna scrittura creativa allo IED di Milano e si dedica all’arte e tradizione del disegno e della simbologia del tatuaggio siberiano.

FLAVIO SORIGAÈ nato a Uta (CA) nel 1975 e vive a Roma. Ha esordito nel 2000 con la raccolta di racconti Diavoli di Nuraiò (Premio Italo Calvino). In seguito ha pubblicato Neropioggia (2002, Premio Grazia Deledda Giovani), Sardinia Blues (2008, Premio Mondello città di Palermo), L’amore a Londra e in altri luoghi (2009, Premio Piero Chiara) e Il cuore dei briganti (2010). Il suo ultimo lavoro è Metropolis (2013). È direttore artistico del festival Settembre dei poeti di Seneghe, nel Montiferru (OR). Scrive per L’Unità e La Nuova Sardegna.

PAOLO FRESULa banda del paese e i maggiori premi internazionali; la campagna sarda e i dischi; la scoperta del jazz e le mille collaborazioni; l’amore per le piccole cose e Parigi… Esistono davvero pochi artisti in grado di mettere insieme un tale abbecedario di elementi e trasformarli in un’incredibile quanto rapida crescita stilistica. Paolo Fresu c’è riuscito, e proprio in un paese come l’Italia, dove per troppo tempo la cultura jazz è stata misconosciuta quanto Shakespeare o le tele di Matisse, dove Louis Armstrong è stato considerato poco più che un fenomeno da baraccone da esporre in insane vetrine sanremesi e Miles Davis scoperto “nero” e bravo ben dopo gli anni della sua massima creatività. La “magia” sta nell'immensa naturalezza di un uomo che, come pochi altri, è riuscito a trasportare il più profondo significato della sua, appunto, magica terra nella più preziosa e libera delle arti. A questo punto della sua fortunata e lunga carriera, non serve più enumerare le incisioni, i premi e le diverse esperienze grazie alle quali si è imposto a livello internazionale e che fanno sistematicamente ed ecumenicamente amare la sua musica: dentro il suono della sua tromba ci sono la linfa che ha dato lustro alla nouvelle vague del jazz europeo, la profondità di un pensiero non solo musicale, la generosità che lo vuole “naturalmente” nel posto giusto al momento giusto ma, soprattutto, l’enorme e inesauribile passione che lo sorregge da sempre.

Siti racconta di se e non mi entusiasma, meglio Lilin.
Poi entrano in scena Fresu e Soriga, che si alternano nel leggere e suonare. Soriga è irresistibile nel parlare della Sardegna e dei sardi. Da tanto non ridevo cosi forte e cosi tanto


lunedì 8 luglio 2013

Milonga: Biko

Doveva succedere, prima o poi.
sono uscito di casa gia alterato, questo ha certo influito.
Gente poca, la concorrenza del Macao si fa sentire. E mancavano tutte le mie ballerine preferite e la maggior parte di quelle che conosco. quindsi sono andato al buio. Iniziato male, con una delle peggiori ballerine mai incontrate, poi meglio, poi con una principiante (ma che almeno si faceva guidare), per finire con una buona tanda. Mancato completamente quelle brave, ovviamente molto presidiate.
Uffa. siamo a due serate deludenti di seguito...


venerdì 5 luglio 2013

Milonga: Che Bailarin

Serata in tono minore, con veramente poche persone (10/12 ballerine). Quindi tanto spazio per ballare ed un bel fresco.
Rimasto poco e ballato poco, ma divertente. Tanda con Claudia (la padrona di casa) molto simpatica.


Cinema: The Lone Ranger

           

John Reid è un uomo di legge, educato in città e tornato nel vecchio west per consegnare alla giustizia il pluricriminale Butch Cavendish. Durante la spedizione, però, un'imboscata uccide suo fratello, il Texas Ranger Dan Reid, e gli altri uomini della compagnia. John viene salvato da Tonto, un indiano, e da un cavallo bianco. I tre diverranno inseparabili.
Come inseparabili, nel contribuire alla nascita di questo esoso progetto cinematografico, sono stati Bruckheimer, Verbinski e Johnny Depp: produttore, regista e interprete dei Pirati dei Caraibi. Ma, se è innegabile che lo stile sia quello (anche gli sceneggiatori sono gli stessi), in The Lone Ranger le derive più fracassone degli ultimi capitoli dei bucanieri restano fuori dai giochi e anche il personaggio di Depp gigioneggia di meno e non si avventura in parentesi solipsistiche ma serve il racconto, né più né meno del dovuto, quanto basta per dare a Tonto la dignità di partner alla pari del ranger, non più sua semplice spalla.
La coppia formata dal Cavaliere Solitario e da Tonto nasce all'inizio degli anni Trenta alla radio, per trasferirsi poi in televisione, sui fumetti e nei cartoni animati, accumulando una popolarità enorme. Verbinski e compagnia scrivono per immagini la storia di come John è arrivato a indossare la maschera, ma anche la genesi dell'avventura di Tonto, il come e perché si è allontanato dalla comunità ed è diventato un guerriero solitario. La struttura narrativa è sofisticata ma né complessa né ridondante e serve a tingere di leggenda ma soprattutto di nostalgia il racconto interno, la stessa nostalgia che il pubblico adulto associa inevitabilmente al titolo.
Più che ai Pirati, rispetto ai quali questo film si pone in continuità, prolungando il sapore del gioco infantile, è soprattutto a Rango che viene immediato (ri)guardare: non solo per l'ambientazione polverosa ma per la parabola del protagonista -eroe per caso, poi "smascherato" con dileggio e, infine, eroe per merito- e soprattutto per l'impianto narrativo (con il politico corrotto al centro della vicenda doppiogiochista).
Indiani e cowboy, ponti ferroviari e dinamite, bordelli e mitragliatrici, miniere d'argento e gambe d'avorio: al grande gioco del west non manca un tassello, il gusto dunque c'è, ma l'entusiasmo è moderato e a tratti lotta con la stanchezza. La fanfara rossiniana del Guglielmo Tell, sinonimo di libertà, assicura un finalone ma cozza con la sorte del vecchio Tonto, ridotto ad attrazione da museo, imprigionato nei pochi metri quadri di un'ambientazione ricostruita e posticcia. Il grande spettacolo del cinema classico non andrebbe lasciato alla polvere della cineteca, sembra dire Verbinski, se basta lo sguardo di un bambino a riportarlo in vita.

Carino, adatto da vedere assieme ai figli

giovedì 4 luglio 2013

Cinema: La grande bellezza


Scrittore di un solo libro giovanile, "L'apparato umano", Jep Gambardella, giornalista di costume, critico teatrale, opinionista tuttologo, compie sessantacinque anni chiamando a sé, in una festa barocca e cafona, il campionario freaks di amici e conoscenti con cui ama trascorrere infinite serate sul bordo del suo terrazzo con vista sul Colosseo. Trasferitosi a Roma in giovane età, come un novello vitellone in cerca di fortuna, Jep rifluisce presto nel girone dantesco dell'alto borgo, diventandone il cantore supremo, il divo disincantato. Re di un bestiario umano senza speranza, a un passo dall'abisso, prossimo all'estinzione, eppure ancora sguaiatamente vitale fatto di poeti muti, attrici cocainomani fallite in procinto di scrivere un romanzo, cardinali-cuochi in odore di soglio pontificio, imprenditori erotomani che producono giocattoli, scrittrici di partito con carriera televisiva, drammaturghi di provincia che mai hanno esordito, misteriose spogliarelliste cinquantenni, sante oracolari pauperiste ospiti di una suite dell'Hassler. Jep Gambardella tutti seduce e tutti fustiga con la sua lingua affilata, la sua intelligenza acuta, la sua disincantata ironia.
Anche Paolo Sorrentino, come molti registi dalla sicura ambizione, cade nella tentazione fatale di raccontare Roma e lo fa affondando le mani nel suo cuore nero, scoperchiandone il sarcofago da dove fuoriescono i fantasmi della città eterna, esseri notturni che spariscono all'alba, all'ombra di un colonnato, di un palazzo nobiliare, di una chiesa barocca. Un carnevale escheriano, mai realmente tragico ma solo miseramente grottesco, una ronde impietosa ritratta con altrettanta mancanza di pietà. A nessun personaggio di questa Grande bellezza è dato di evadere, e anche chi fugge lo fa per morte sicura o per sparizione improvvisa (ad esclusione del personaggio di Verdone, una sorta di Moraldo laziale, che si ritrae dal gioco al massacro tornando nella provincia da cui è venuto). Le figure di Sorrentino non hanno vita propria, sono burattini comandati da mangiafuoco, eterodiretti da una scrittura tirannica, verticale, sempre giudicante. Non hanno spazio di manovra, sembrano non respirare. Come fossero terrorizzati di non piacere al loro demiurgo, sembrano creature soprannaturali, evanescenti, eterne macchiette bidimensionali, schiacciate dall'imperativo letterario che le ha pensate. Con l'eccezione di quei personaggi cui è dedicato uno spazio più congruo come la Ramona di Sabrina Ferilli (davvero notevole) e il Romano di Carlo Verdone, gli altri animatori di questo circo hanno diritto a pochi concisi passaggi. Il domatore Jep Gambardella li doma tutti dispensando frusta e carota. La crisi di cui si dice portatore è senza convinzione, come i trenini delle sue feste, non porta da nessuna parte. Ma questa condanna sconfortata che cade su tutto e tutti, alla fine è assolutoria; e il ritratto di questa società decadente che si nasconde dentro i palazzi romani, mai visibile agli occhi di un comune mortale, sempre staccata dalla realtà, diventa solamente pittoresca.
Il Fellini della Dolce vita, cui si pensa immancabilmente, aveva una pietas profonda verso i suoi personaggi, e quella compassione permetteva allo spettatore di allora come di adesso, di agire una qualche proiezione emotiva. La grande bellezza di Sorrentino è invece abissale, freddissima, distanziata, un ologramma sullo sfondo. A favorire questo distanziamento c'è anche l'approccio volutamente anti-narrativo, già sperimentato in This Must Be the Place, ma qui ancora più evidente. Citando Celine e il suo Viaggio al termine della notte, Sorrentino sperimenta una narrazione errante, fatta di continue effrazioni, smottamenti, deliberati scivolamenti da un piano all'altro, da una situazione all'altra, lasciando tracce, abbozzi, improvvisi vagheggiamenti. Alla storia preferisce l'elzeviro, l'affondo veloce, la critica sferzante e sempre erudita. Al dialogo preferisce un monologo straordinariamente punteggiato (e nel film si monologa anche quando si dialoga).
La grande bellezza sembra essere un film geologico, come fosse l'affioramento improvviso di una stratificazione con i suoi tanti livelli sovrapposti e confusi; sembra essere un film archeologico, come fosse il ritrovamento di un'antica stanza romana con i suoi patrizi e le sue vestali. Sembra essere un film senile, come fosse la lettura postuma del diario di un vecchio dandy che ha vissuto nella Roma degli anni duemila. Sembra essere un film di fantasmi usciti dalla penna di uno scrittore fin troppo compiaciuto della sua arte e del suo mestiere. Infine, sembra essere la risposta erudita e d'autore al To Rome With Love, contraltare e vendetta alla cartolina di Woody Allen, con qualche traccia di troppo dell'impeto trascendentale di un Terrence Malick cattivo maestro.
Dario Zonta

Il film ha un grande inizio (la scena della festa) e si mantiente su livelli alti per i due terzi. Se finisse con la scena del matrimonio sarebbe perfetto...invece si dilunga per forse un altra ora con l'episodio della santa, che risulta posticcio e di cui personalmente non capisco il valore aggiunto.
Servillo al solito è strepitoso. 

Foto: “Storie di un fotografo”: Gianni Berengo Gardin




L’esposizione, che rappresenta la più grande retrospettiva del maestro, è promossa dal Comune di Milano – Cultura, prodotta da Palazzo Reale, Civita Tre Venezie e Fondazione Forma per la Fotografia e curata da Denis Curti. La mostra presenta una raccolta di più di 180 immagini del fotografo divise in nove sezioni: apre la mostra “Gente di Milano” con oltre 40 scatti che immortalano la vita degli ultimi 50 anni della nostra città.
“Questa mostra è un viaggio nella storia del nostro Paese e della nostra città, attraverso lo sguardo d'eccezione della figura tra le più importanti del foto-giornalismo italiano – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno –. È dunque una preziosa testimonianza di come eravamo e di come siamo cambiati: un mosaico per immagini in cui ciascuno di noi ritrova un po’ della propria storia, dei propri ricordi e in definitiva di se stesso. Per questo, proprio quest’anno, Milano gli ha conferito l'Ambrogino d'Oro”.

Il percorso espositivo approfondisce con nuove fotografie la famosa serie intitolata “Morire di classe”, realizzata su commissione del professor Franco Basaglia, che indagava sulla drammatica situazione dei manicomi in Italia e per cui Berengo Gardin ha realizzato una storica inchiesta; ci sono poi una sala interamente dedicata a Venezia, una sezione che getta sguardi dentro le case e sui baci rubati per strada o in stazione, un’altra ancora che racconta il lavoro, da Parigi a Monfalcone e da Vercelli a Osaka. Una selezione di foto, intitolata “Comunità Romanì in Italia”, narra la vita all’interno dei campi nomadi, e un’ultima indaga alcuni dei molti modi in cui fede e religiosità si fanno immagine. Il tutto in bianco e nero, visto con uno sguardo asciutto e diretto e catturato grazie alle lenti delle sue tante macchine Leica, molte delle quali esposte in mostra.

Considerato da molti il più rappresentativo tra i fotografi italiani, ha cominciato nel 1954 a lavorare con la macchina fotografica, tenendola appesa al collo mentre girava il mondo e usando sempre la pellicola. “Il mio lavoro non è assolutamente artistico” racconta Berengo Gardin “e non ci tengo a passare per un artista. L’impegno stesso del fotografo non dovrebbe essere artistico, ma sociale e civile”.

Mostra interessante, ma man mano che ne vedo, divento più esigente. Belle foto, il bianco e nero, le storie, ma forse perchè il fotografo mi era noto, non ho avuto quell'emozione che altre mostre, anche recenti, mi avevano dato.

lunedì 1 luglio 2013

Milonga: Biko

Seratona!
Non avevo tanta voglia, poi per abitudine sono andato. E bene ho fatto.
Dopo un inizio normale con una sconosciuta è arrivata Paola B. con cui ho prima chiaccherato e poi ballato una tanda di almeno sette tanghi... una gioia, ma una gioia! Potevo essere contento anche cosi ma sono rimasto e ringalluzzito sono riuscito a ballare anche con Angela, un paio di altre ballerine (una brava una meno) e finire la serata con Elisabetta, che è sempre un gran ballare.
Come al solito il Biko fa il miracolo...