lunedì 25 novembre 2013

milonga: Biko

Serata bella, ballato tanto e anche con brave ballerine, ma manca un quid...
forse bisogna provare a cambiare, per una volta.

sabato 23 novembre 2013

milonga: Pensalovien per Comunavez

Troppa gente: non si riusciva a ballare, a camminare, a prendere da bere. Mi sono talmente esasperato che sono scappato dopo un'ora.
mai più di sabato...

lunedì 18 novembre 2013

milonga: biko

Tutto nella norma, anche se ho ballato meno di quanto avrei voluto.
Super tanda con Mapi (è proprio un piacere balare cone lei) e bella tanda con altra signora già vista tempo fa.
Altre tande carine ed una sola fregatura, ma neanche grave.

venerdì 15 novembre 2013

teatro: Aspettando Godot


ASPETTANDO GODOT
di Samuel Beckett copyright Editions de Minuit – Paris
traduzione di Carlo Fruttero
regia di Jurij Ferrini
scenografia Samuel Backett
costumi Michela Pagano
con Natalino Balasso, Jurij Ferrini, Angelo Tronca, Michele Schiano di Cola
produzione U.R.T - Teatria

Aspettando Godot (debuttato nell'autunno del 2012) è il frutto di un incontro singolare fra Natalino Balasso e Jurij Ferrini, il risultato di un'intesa scenica molto forte, nata durante la tournée de I Rusteghi di Goldoni, spettacolo di grande successo prodotto dal Teatro stabile di Torino e firmato da Gabriele Vacis.

Abbiamo cercato a lungo un testo che potesse rappresentare una coppia comica così equilibrata e la scelta si è indirizzata sul grande capolavoro di Beckett. I protagonisti di Aspettando Godot non hanno più nulla da dire e nulla da fare e involontariamente raccontano la loro misera attesa di un destino (migliore?) solo perché si trovano in un teatro davanti ad un pubblico, sera dopo sera.
In due atti strutturalmente molto simili passano sulla scena Pozzo e il suo servo Lucky e alla fine di ogni giorno un misterioso ragazzo annuncia che "il signor Godot non arriverà oggi, ma di sicuro domani". Così che i due protagonisti si appenderanno nuovamente a una sempre più flebile speranza di ottenere dal signor Godot qualcosa di nuovo o almeno diverso…
Si tratta quindi di un teatro ben poco assurdo ma semmai estremamente allegorico, almeno da quando l'assurdità della vita ha di gran lunga superato il non senso apparente di ciò che viene detto in scena. In questa versione di Aspettando Godot - ci dicono gli spettatori - si ha la sensazione d'aver capito qualcosa in più, divertendosi molto. Questa è per noi la migliore recensione che si possa ricevere.
Jurij Ferrini

lunedì 11 novembre 2013

milonga: Biko

dopo due settimane di assenza ritorno. Tutto ok, solo un po poche ballarine rispetto al solito.
Ma gran divertimento

domenica 10 novembre 2013

FAULT LINES by Allora & Calzadilla

ALLORA & CALZADILLA. FAULT LINES
Palazzo Cusani, Milano
22 Ottobre - 24 Novembre, 2013


Le opere di Allora & Calzadilla nascono dalla combinazione sperimentale di elementi e linguaggi diversi – scultura, fotografia, performance, musica, suoni e video – alla ricerca del punto di incontro tra leggerezza e complessità da cui avventurarsi nell’esplorazione delle geografie psicologiche, politiche e sociali della cultura contemporanea globalizzata. Per loro l’arte è un pretesto per indagare concetti chiave del nostro presente, quali l’identità nazionalità, la democrazia, il potere, la libertà, la partecipazione e i cambiamenti sociali.

Da questo approccio nasce la scelta del titolo per la mostra con la Fondazione Nicola Trussardi: Fault Lines, letteralmente linee di faglia, quelle fratture del suolo che si formano nel punto di incontro tra due masse rocciose in movimento, linee frastagliate, instabili, che nascondono fragilità profonde, pronte ad arrivare da un momento all’altro al punto di rottura. In questo caso le Fault Lines diventano punto di partenza per un’indagine del concetto di confine, di quelle linee fisiche e simboliche che separano due mondi, facendosi limite, demarcazione, catalizzatore di tensione.
Come etnografi post-coloniali, Allora & Calzadilla scandagliano limiti e contraddizioni del mondo globale, combinando nei loro lavori frammenti di una società in continua trasformazione di cui rileggono gli eventi per tracciare mappe e percorsi dove tempo e spazio si fondono in potenti metafore. Con un gioco di continue sovrapposizioni e sostituzioni, cambiamenti repentini e rotture, la coppia di artisti compone un mosaico di geografie instabili ed equilibri precari contemporaneamente paradossali e rivelatori, in cui il corpo è terreno di confronto, di scontro, di scambio di energia, e lo strumento con cui connettersi al resto del mondo.

Nei magnifici spazi di Palazzo Cusani Allora & Calzadilla presentano un’imponente selezione di lavori recenti, per lo più inediti in Italia, e nuove produzioni realizzate appositamente per la mostra. Dal maestoso Salone Radetzky – la sala da ballo con stucchi e affreschi originali intitolata al generale austriaco che nel Palazzo ebbe il suo quartier generale fino alle Cinque Giornate di Milano – alla Sala delle Allegorie – con i suoi dipinti e soffitti affrescati raffiguranti scene e simboli della mitologia greca  –  si susseguono sculture sonore, performance, video e immagini che si intrecciano con la storia del luogo e con la cronaca dei nostri giorni, destabilizzandole e riordinandole secondo un ritmo narrativo che alterna sorpresa, poesia, umorismo ed epifanie.




Mostra (mostra?) di difficile lettura, con delle cose interessanti ed altre molto meno, od incomprensibili. Siamo un po al limite dell'arte contemporanea intelleggibile da me.


venerdì 8 novembre 2013

cinema: La prima neve



Pergine, piccolo paese del Trentino ai piedi della Val de Mocheni. E' lì che è arrivato Dani, fuggito dal Togo e poi nuovamente costretto a fuggire dalla Libia in fiamme. Dani ha una figlia piccola (che gli ricorda troppo la moglie morta per volerle davvero bene) e una meta: Parigi. In montagna, dove ha trovato lavoro presso un anziano apicoltore, fa la conoscenza di Michele, un bambino che soffre ancora per la perdita improvvisa del padre.
Andrea Segre prosegue con questo suo secondo film di finzione dopo Io sono Li la personale ricerca del rapporto tra gli esseri umani e i luoghi che ne ospitano le vicende sia che vi appartengano dalla nascita sia che vi siano giunti per i rovesci della sorte.
Come Shun Li Dani è arrivato in un'Italia di cui non conosce le tradizioni ma, a differenza della donna cinese, non subisce le offese del razzismo strisciante. Perché questo film di Segre non vuole ripercorrere le orme dell'opera precedente. Dani l'emarginazione ce l'ha dentro come il piccolo Michele ed è data dal dolore profondissimo di una perdita, di un lutto che sembra impossibile elaborare. Hanno a fianco persone che vorrebbero aiutarli (l'anziano apicoltore per l'uno,la madre per l'altro) ma è come se avessero eretto un muro a difesa della loro sofferenza. Il bosco finisce così per diventare non il luogo fiabesco dove incontrare pericolosi lupi (qui semmai a fare danni è un orso) ma lo spazio, tra luci ed ombre, dove trovare una solitudine che può farsi cammino comune. "Le cose che hanno lo stesso odore debbono stare insieme" dice il vecchio a proposito di legno e miele. Dani e Michele sono impregnati dello stesso odore della deprivazione che li porta a pensare di non essere più capaci di amare coloro che hanno invece più bisogno di loro. Potrebbero avere entrambi bisogno di quella prima neve che offra una nuova visione del mondo, esteriore ed interiore.
Massimo Troisi, dopo il successo di Ricomincio da tre affermava, con la saggezza che lo contraddistingueva, di non voler fare il secondo film ma di voler passare direttamente al terzo. Perché una regola non scritta del cinema di finzione dice che se la prima opera è venuta bene la seconda non sarà altrettanto valida. La prima neve costituisce una delle rare eccezioni alla regola.

giovedì 7 novembre 2013

Milonga: Spazio A sala grande

Una scappata, più che altro per non stare in casa.
Scelta musicale lontana dai mie gusti, mi aspettavo una cosa diversa.
Non in formissima ho ballato cosi cosi con Annina, male con una sconosciuta (che ballava male anche lei, peraltro) e finito benino con un'altra signora.
All'una sono scappato
Bilancio sufficiente

mercoledì 6 novembre 2013

Cinema: Anni Felici



Nell'anno del referendum sul divorzio, l'Italia di Daniele Luchetti è una famiglia romana in preda al fervore dei tempi tra aspirazioni artistiche d'avanguardia, comodità piccolo borghesi, istanze femministe e amore libero. Guido è un padre sui generis, pittore e scultore, elettosi rappresentante della nuova arte concettuale più per adesione alla moda del periodo che per un'autentica necessità artistica. Di giorno, nel suo laboratorio negli orti della Lungara, trasgredisce le convenzioni sociali modellando i corpi di ragazze accondiscendenti con i nuovi materiali imposti dall'avanguardia, di sera impartisce lezioni sul bello nell'arte dopo la rivoluzione concettuale ai due figli di dieci e cinque anni, Dario e Paolo. La moglie Serena, figlia benestante di solidi commercianti della piccola borghesia cittadina, è una donna semplice attraversata però da una profonda inquietudine che la porterà dall'amore devoto verso un marito libertino alla scoperta del femminismo come riscatto del sé e come esperienza di un sentimento amoroso diverso.
Quest'ultimo film di Luchetti aveva un titolo provvisorio, Storia mitica della mia famiglia capace di definire i margini di un'operazione biografica (storia della mia famiglia) trasfigurata dalla memoria di sentimenti sedimentati nel tempo (storia mitica). Nel corso della lavorazione, il gesto coraggioso della dichiarazione auto-biografica ha lasciato il passo a un titolo nostalgico, Anni felici, che suona come giudizio amaro per una storia famigliare contrastata che il regista, al tempo testimone bambino, avrebbe voluto cogliere in tutta la sua contradditoria vitalità.
In una delle prime inquadrature del film, affisso su di un muro, fa capolino un manifesto elettorale che recita così: "Le donne della famiglia Cervi dicono di NO". Dichiarazione misteriosa se non fosse il 1974, anno del referendum abrogativo della legge che quattro anni prima aveva istituito in Italia il divorzio. A dire NO sul quel manifesto è l'autorevolezza delle donne di una tristemente famosa famiglia anti-fascista i cui uomini (i sette fratelli Cervi) furono fucilati dai fascisti nel '43 (Irnes Cervi, moglie di Agostino, molto si spese per affermare i diritti delle donne). Questo piccolo dettaglio, sullo sfondo murale di un dialogo coniugale, definisce il contesto sociale della storia di una famiglia attraversata per quel che la riguarda dall'impeto dei tempi (divorzio, femminismo, arte concettuale, trasgressione matrimoniale, amore lesbico...), vissuto come di rimbalzo, attori involontari ed etero-diretti.
Gli Anni felici di Luchetti sono però anche gli "anni di piombo", quelli - per rimanere nel '74 - della strage a Piazzale della Loggia a Brescia (28 maggio), della bomba sull'Italicus (4 agosto) della crisi energetica e dell'austerità. Sorprende un po' che la Roma di Guido e Serena non risenta minimamente di quell'atmosfera, riportando invece una dimensione dinamica, una scena artistica vissuta ardentemente tra gallerie d'arte e triennali milanesi, molto colorata e trasgressiva, come voleva essere. Il motivo è presto detto: tutti gli eventi sono filtrati dalla memoria emotiva di un bambino di dieci anni, Dario (alter-ego del regista), figlio e testimone muto di quella stagione dalla quale ha voluto espungere il contesto politico per isolare quello famigliare e sociale (l'avvento del femminismo). Se volessimo considerare questo film come il terzo passaggio di un'ideale trilogia, vien facile dire che il racconto storico-politico si sia esaurito in Mio fratello è figlio unico, mentre quello sull'oggi da La nostra vita. Il terzo atto quindi si insinua in un'altra dimensione che non è più né storica né politica, ma potremmo dire emotiva e personale.
Ecco, allora che s'arriva a una novità, anche estetica, non indifferente per Luchetti. Sebbene Anni felici sia un film d'invenzione, la storia è quella della sua famiglia, ed il vero e il falso si intrecciano uniti dal filo rosso dei ricordi emozionali.
Ad avvalorare questa premessa è la scelta della voce-off: a "recitarla" è lo stesso Luchetti che impersona il personaggio di fantasia, il bambino Dario (suo alter-ego) che a distanza di anni racconta gli eventi del '74. Ecco che subentra nel cinema di Luchetti la "prima persona" nella formula, già scandagliata in letteratura dell'auto-fiction, anticipata dal Caro diario di Nanni Moretti, suo amico e maestro.
Luchetti è un regista dalla vocazione narrativa tradizionale, eppure ha saputo dimostrare soprattutto negli ultimi film una certa curiosità verso altri linguaggi ed esperienze cinematografiche. Ad esempio, l'idea dei dialoghi fuori fuoco, sporchi e sovrapposti, vicina al "cinema del reale" di Garrone, hanno influenzato l'estetica meno convenzionale di Mio fratello è figlio unico e La nostra vita. L'avvento della prima persona, l'uso dei filmini famigliari (anche se qui ricostruiti) in super 8, il discorso legato al femminismo, a noi hanno fatto pensare alle esperienze dell'altro cinema italiano, documentario e di montaggio. Chissà de Lucchetti l'ha in qualche modo assorbita.
A parte i riferimenti, involontari o meno, Anni felici si pone come un film solidamente convenzionale (forse un po' troppo) e saldamente narrativo, che molto s'appoggia sulla perfomance dei due attori protagonisti. Kim Rossi Stuart, com'è del suo metodo recitativo, trasforma in modo autoriale il personaggio nella somma delle sue complessità, dando spessore e corpo a una figura sulla carta fragile, tutta schiacciata da un'ossessione artistica fasulla e da un narcisismo quasi adolescenziale. Micaela Ramazzotti, istintiva e fisica, sembra affidarsi alla scrittura, un po' come il suo personaggio, scoprendo poi una profondità emotiva e un'istanza di genere impreviste.
C'è però qualcosa che non torna in Anni felici, anche se tutto sembra essere al suo posto. Non è facile capire cosa. Forse il fatto che Luchetti non è riuscito a prendere, anche legittimamente, la giusta distanza. È troppo dentro per vedersi da fuori. Forse anche lui è vittima a posteriori di un narcisismo represso, tant'è che il film chiosa con l'affermazione urlata del proprio Io. Dei suoi ultimi tre film, questo è forse il più fragile ma certo comunque autentico e onesto, anche solo per aver avuto il coraggio di ri-affermare che per lui il personale è politico.

sabato 2 novembre 2013

Zucca Tango Festival - serata del sabato

Si ritorna allo Zucca.
Ma la serata non è la stessa, non c'è la stessa energia. Molto è imputabile a me, non ci ero molto con la testa, ma anche la musica e la situazione non erano più le stesse. Forse la stanchezza delle ballerine, in pista da tre giorni.
Morale: non ho ballato bene, e anche le ballerine non erano quelle di giovedi. Partito bene con un Ascolana, ricordo poi una sigonra di Venezia ed un di Torino, che si lamentava giustamente dei Milanesi che non invitano.
Finale perà in bellezza con una ragazza francese veramente fantastica, che mi ha salvato la serata.
Dopo di che a nanna (2:30)

venerdì 1 novembre 2013

Hangar Bicocca: Ragnar Kjartansson - The visitors

Musica visuale. non ho parole per descriverla, ma solo tante emozioni in testa.


Villa Necchi Campiglio + Jole Veneziani


Zucca Tango Festival: Serata di Apertura

si entra e si percepisce subito l'energia che fluisce. Forte, fa passare subito la stanchezza o il malumore. Al mixer SuperSabino (ottimo) a cui segue il ben conosciuto PuntoyBranca.

Ballerine di alto livello con cui è un vero piacere ballare (chissà se è lo stesso per loro, speriamo..).
L'ultima è una ragazza russa, venuta apposta da Mosca. Bravissima, un piacere da portarsi a casa.