giovedì 30 aprile 2015

Balletto: Cenerentola


Dopo Schiaccianoci, Frédéric Olivieri crea una nuova coreografia per i suoi giovani allievi attingendo al patrimonio del balletto classico: Cenerentola.
Sergej Prokof'ev concepì le musiche per il balletto tra il 1940 e il 1944, negli anni della Seconda Guerra Mondiale in omaggio alla tradizione russa del secondo Ottocento. Appassionato di fiabe quanto Ciaikovskij, il compositore creò una musica di ritrovata classicità (con variazioni, adagi e pas de deux) perfetta per la  trasposizione in danza di una delle favole più conosciute e amate.
La versione che - su commissione di Fondazione Bracco - Frédéric Olivieri realizza per gli allievi della Scuola di Ballo Accademia Teatro alla Scala saprà valorizzare il talento dei suoi giovani danzatori dando corpo ed emozioni a personaggi da fiaba che diventano persone vive, piene di sentimenti e ribellioni, e a una fanciulla romantica, sognatrice e innamorata proprio come le ragazze di oggi.

Carino, niente di eccezionale, qualità media dei ballerini..

venerdì 24 aprile 2015

Porta Nuova




Teatro: Cendrillon


C’era una volta un autore/regista che non raccontava fiabe né ai bambini né agli adulti scrive “Le Monde” parlando diCendrillon, versione (ri)scritta e diretta da Joël Pommerat della fiaba di cui siamo debitori a Perrault e ai Grimm. Il regista illumina, non solo metaforicamente, visto il ruolo preponderante della luce nello spettacolo, i lati oscuri di una storia che credevamo di conoscere a memoria. Racconta quanto profondo sia il legame tra dolore e senso di colpa, quanto fragile e suggestionabile la mente dei bambini e quanta sofferenza occorra per conquistare la maturità, la felicità e l’amore.

Joel Pommerat , classe 1963, dice di se stesso io non scrivo testi, scrivo spettacoli… il teatro si vede e si ascolta e io lavoro con tutto, con la voce, il gesto, il suono, le immagini. Petit soleil lo definisce Ariane Mnouchkine riconoscendo in lui una felice germinazione della filosofia e dell’arte del Théâtre du Soleil. Nel 1990 fonda la sua compagnia, nel 2006 è invitato al Festival d’Avignon, dove allestisce quattro spettacoli, quindi per tre anni è artista residente al Théâtre des Bouffes du Nord, chiamatovi da Peter Brook. Attualmente è artista associato dell’Odéon Théâtre de l’Europe di Parigi e del Théâtre National di Bruxelles; nel 2015 aprirà il Festival d’Avignon.

Spettacolo meraviglioso, commovente, magico, unico. Un grande spettacolo..

giovedì 16 aprile 2015

Teatro: La parola canta


Insieme anche nelle Voci di dentro, i fratelli Servillo sono sul palco ancora “in combinata” per uno splendido concerto, un recital, una festa fatta di musica, poesia e canzoni che celebra Napoli, l'eterna magia della sua tradizione vivente, l'importanza dell'incontro fra le epoche e della più ampia condivisione culturale.
In questa speciale occasione Toni e Peppe Servillo, con il prezioso e suggestivo supporto dei Solis String Quartet, canteranno poesie e reciteranno canzoni, facendo rivivere e  rendendo omaggio ad  alcune delle vette più alte della cultura scenica partenopea, fra letteratura, teatro e musica: da Eduardo De Filippo a Raffaele Viviani, da E. A. Mario a Libero Bovio, fino a voci contemporanee come quelle di Enzo Moscato e Mimmo Borrelli.
Un filone inesauribile di fantasia e ricchezza poetica da cui nasce e di cui si nutre la creatività scenica straordinaria di Peppe e Toni Servillo.


sabato 11 aprile 2015

Gita tanguera ad Ascona

Beh, è stata certo una serata diversa..
Partenza con il torpedone alle 18:30. Abbastanza in pochi, in verità, solo una ventina contro i  quasi 50 della gita all'agriturismo di Peschiea in Novembre.
Primo stop in mezzo alla campagna svizzera in cima al lago maggiore, appena fuori un capannone industriale.
Capannone che rivelasi essere il ristorante "Medioevo" dove ceneremo.

Visto la foto? Raramente o forse mai avevo visto una cosa così kitch. Arredamento medioevale con troni dorati e cameriere in livrea rossa.
Uno spettacolo...
Tris di primi o pizza, bevande extra a 5 franchi/5 euro.
Ero seduto di fronte al re ed alla regina, Alice & Andrea e la cena è stata carina.
Da li ci trasferiamo all'hotel Ascona: hotel fantasma, in cui ci si addentra non incontrando un singolo addetto... fino alla sala da pranzo, sbaraccata e riconvertita in sala da ballo.
Soffitto basso, marmo sul pavimento e un aerazione che si rivela presto insufficente..
L'organizzatore annuncia che la serata terminerà esattamente alle 12:50 per evitare problemi con la polizia....

Oltre a noi presenti una ventina di persone, coppie o signore dai 40 in su.
Al DJ si alterna un'orchesta dal vivo che non riscuote molto successo fra i raffinati palati milanesi.
Ballo sia con le compagne di corso che con alcune signore ticinesi, di livello medio. Solo l'ultima si rivelerà brava  e divertente da ballare.
Alle 12 Alice ed Andrea si esibiscono ed è sempre un bel vedere.
La serata si conclude di tutta fretta in perfetto orario e senza che nessuno abbia capito che era finita-
Pulmann per casa ed alle 3:00 siamo a Bonola..

Il tutto al costo di 45Euro + 5 per il vino + 2 per il caffe + 5 per il succo di Ananas.
Tanto, troppo.
Da non ripetere, direi..

MIA FAIR - Fiera internazionale della fotografia



MIA Fair, nata nel 2011 da un’idea di Fabio Castelli, si è distinta dal tradizionale schema delle fiere d’arte italiane ed internazionali per il suo format originale: uno stand per ogni artista – ad ogni artista il suo catalogo. Composta da solo show, MIA Fair ha offerto un approccio inedito presentando in ogni stand una mostra personale e un percorso approfondito. Nel 2015, in occasione del suo 5° anniversario e della Esposizione Universale EXPO 2015 Milano, MIA Fair amplia il suo particolare format a stand collettivi che presentino un progetto curatoriale specifico, purché sia ispirato ai temi di Expo 2015
MIA Fair nasce con l’obiettivo di evidenziare il ruolo trasversale che la fotografia e l’immagine in movimento hanno assunto tra i linguaggi espressivi dell’arte e  del sistema dell’arte contemporanea.

Fiera molto interessante. Rivisti fotografi sconosciuto ma scoperti anche nuovi talenti da seguire. Un po di foto da comprare, ad avere i soldi..


venerdì 10 aprile 2015

Cinema: Fast & Furious 7


Il lungo addio a Paul Walker, svolto lungo un action che accetta la sfida con la morte, riscrivendo audacemente il proprio linguaggio
Emanuele Sacchi      
A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Ragion per cui Deckard Shaw, fratello dell'Owen ridotto in fin di vita da Dominic Toretto e dalla sua gang, è pronto a scatenare la sua sete di vendetta, avvalendosi delle tecniche di guerra e di guerriglia apprese lavorando per i servizi segreti britannici. La situazione sembra disperata finché la CIA non si offre di aiutare Toretto e i suoi, a condizione che questi recuperino Ramsey, uno hacker straordinario e dall'identità ignota, rapito da dei pericolosi terroristi.
Un episodio, il settimo della serie inaugurata nel 2001 da Rob Cohen, che da subito ha assunto proporzioni gigantesche di significato, ben al di là della semplice prosecuzione di un franchise di successo. Dal momento della scomparsa di Paul Walker, senza dimenticare le circostanze paradossali in cui questa è avvenuta, realtà e finzione hanno cominciato a mescolarsi, delegando alla riuscita di Fast & Furious 7 un possibile esito virtuoso del cortocircuito. Il film sgombra il campo dagli equivoci ben presto, dimostrando, più che di essere influenzato dagli eventi extra-diegetici, di esserne dominato. La ridda di speculazioni sul film di James Wan - diversi horror al suo attivo come Saw - L'enigmista o L'evocazione - The Conjuring - non ha chiarito quanto Brian, ossia il personaggio di Walker, sia stato ricostruito grazie alla computer graphics, né quante delle scene siano frutto dell'effettiva interpretazione di Walker e quante abbiano fatto ricorso ai fratelli dell'attore scomparso. Ma quel che è certo è che lo script e il concetto stesso dell'opera sono stati riscritti e ripensati dopo l'evento, trasformando Fast & Furious 7 in un lungo addio all'amico, senza neanche porsi il problema di giustificare il tutto sul piano diegetico: è chiaramente insufficiente, infatti, il pretesto narrativo del ritorno in famiglia di Brian per giustificare l'atmosfera elegiaca del film, così come appare studiata la volontà di avvicinare all'attesa morte (che allinei realtà e finzione) il personaggio per poi salvarlo nelle maniere più rocambolesche. Vince, anzi stravince, l'elemento extra-diegetico e il fatto rappresenta una novità sostanziale in chiave di completo superamento del postmoderno nel cinema action: il reale irrompe inarrestabile e scardina le regole della finzione. 
Solo Blues Brothers 2000 aveva accettato l'elaborazione del lutto sul piano diegetico, ma per tracciare una linea e proseguire in un'altra direzione. Wan invece lavora sul fantasma di Walker cercando di invertire il corso naturale delle cose: e se la resa infine è inevitabile (per ora, visto che Fast & Furious 7 apre a scenari nuovi anche sul potere di resurrezione del digitale) di certo non è silenziosa. Tra granate in ogni dove, bolidi che escono da un grattacielo per entrare in quello accanto e auto paracadutate su una strada nel Caucaso, Fast & Furious 7 esagera su ogni fronte; è insieme il più bromance e il più voyeur sulle grazie femminili, il più spettacolare e il più corale. Anche grazie a un cast micidiale, che trova in Statham l'unico villain capace di competere credibilmente con colossi come Vin Diesel o The Rock e in Kurt Russell il depositario dell'action movie che fu, pronto a benedire gli eccessi dell'era digitale. Ma giudicare Fast & Furious 7 come un "normale" action movie, con i suoi pregi - la sequenza a Dubai - e i suoi molti e notevoli difetti - di sceneggiatura, coesione tra le parti, prolissità - significherebbe ignorare le ragioni della sua specificità, tali da renderlo, ad oggi, inequivocabilmente unico.

Film divertente e ben fatto nei primi due terzi, dove le macchine la fanno ancora da padrone.
L'ultimo pezzo, quando mercenari distruggono Los Angeles senza nessun problema mi sembra francamente eccessiva. 



giovedì 9 aprile 2015

Cinema: La Famiglia Belier


Brillante commedia francese supportata da una sceneggiatura solida, che mescola con perfetta misura umorismo, lacrime, disfunzioni, pregiudizi e canzoni
Marzia Gandolfi    

Paula Bélier ha sedici anni e da altrettanti è interprete e voce della sua famiglia. Perché i Bélier, agricoltori della Normandia, sono sordi. Paula, che intende e parla, è il loro ponte col mondo: il medico, il veterinario, il sindaco e i clienti che al mercato acquistano i formaggi prodotti dalla loro azienda. Paula, divisa tra lavoro e liceo, scopre a scuola di avere una voce per andare lontano. Incoraggiata dal suo professore di musica, si iscrive al concorso canoro indetto da Radio France a Parigi. Indecisa sul da farsi, restare con la sua famiglia o seguire la sua vocazione, Paula cerca in segreto un compromesso impossibile. Ma con un talento esagerato e una famiglia (ir)ragionevole niente è davvero perduto.
Campione di incassi in Francia e nella stagione appena passata, La famiglia Bélier è una commedia popolare che aggiorna con note e sorrisi il vecchio tema dell'adolescente alla ricerca di un'identità stabile. Sospeso tra focolare e autonomia, il nuovo film di Éric Lartigau 'riorganizza' una famiglia esuberante intorno a un'età per sua natura fragile e scostante. A incarnarla è il volto pieno e acerbo di Louane Emera, ex concorrente dell'edizione francese di The Voice, che presta voce e immediatezza a un personaggio in cerca di un posto nel mondo. Se comicità e crisi si accomodano tra la rappresentazione genitoriale del futuro filiale e la tensione allo svincolo della prole, i personaggi vivono situazioni esilaranti, annullano lo scarto con l'amore e spiccano il salto verso una condizione nuova. Appoggiato su una sceneggiatura solida, che mescola con perfetta misura umorismo, lacrime, disfunzioni, pregiudizi e canzoni, La famiglia Bélier svolge una storia ben ordita in cui ciascun personaggio gioca la sua parte con effetto e sincerità, senza mai sconfinare nel pathos. Precipitando lo spettatore nel mondo 'smorzato' dei malentendants, Lartigau elude lo sguardo (fastidioso) dei 'normali' sui disabili, mettendo in scena una famiglia che quella difficoltà ha imparato a gestirla, intorno a quella difficoltà è cresciuta e su quella difficoltà si è impratichita, sentendo ogni movimento della vita. La famiglia Bélier non emoziona perché è differente ma al contrario perché è universale, si agita, si rimprovera e fa pace come tutte le famiglie del mondo. Chiusi nella sordità e in una bolla di sicurezza familiare, i Bélier si fanno sentire forte e chiaro attraverso la voce limpida di Paula e attraverso il linguaggio marcato dei segni. Linguaggio che regista e attori dimostrano di saper adottare con sensibilità dentro un film good movie alla francese, che 'canta' Michel Sardou. Celebre chanteur parigino, ammirato dal professore appassionato e coinvolto di Éric Elmosnino, Sardou è il tappeto musicale che 'accompagna' il ritratto di una famiglia in un interno domestico e in un esterno bucolico, lontano dalle città e dentro una Francia atemporale e irriducibile, che alla techno preferisce la chanson française, al formaggio di soia quello a latte crudo, alle hall degli aeroporti le piazze di paese. Per preservare 'quella Francia' i Bélier sono addirittura disposti a scendere politicamente in campo e a battersi 'a gran voce'. In tempi di crisi, la commedia di Lartigau ripara nei valori di cui Paula è in fondo portatrice sana. Perché il suo distacco dalle 'origini' è solo fisico, mai totale e lirico come le parole 'segnate' di Sardou ("Je vole"). Parafrasando la canzone, Paula "non fugge, lei vola" verso spazi e tempi di prova in cui prepararsi alla vita. Dentro una moltitudine di diversità Éric Lartigau pesca quella irresoluta dell'adolescenza e di un'adolescente che deve apprendere un 'linguaggio' nuovo ed evidentemente altro e incoerente rispetto a quello familiare. Ispirato al libro di Véronique Poulain ("Les Mots qu'on ne me dit pas"), La famiglia Bélier è abitato da un cast irresistibile, condotto da François Damiens e Karin Viard, genitori affatto 'sordi' a la maladie d'amour e a quel fiume di note impetuose che cercano una melodia. Una melodia che Paula legittima adesso con la sua voce (e le sue mani).

Film divertente e commovente. Alla fine non si può non piangere un po, sulle note della canzone..