sabato 30 gennaio 2016

Teatro: Gaudeamus

Spettacolo sicuramente interessante con delle idee registiche e di scenografia belle. Attori giovani e bravi. Una seconda parte (quella meno "militare") che si perde un pò, alla ricerca di un finale che stenta ad arrivare.


È lo spettacolo cult del Maly Teatr di San Pietroburgo e consacrò Lev Dodin sui palcoscenici di tutto il mondo. Gaudeamus debuttò nel 1990, all’indomani dell’abbattimento del muro di Berlino, mentre nell’est europeo soffiava il vento della perestrojka. Oggi torna in scena in una versione del tutto rinnovata, a partire dal cast, composto dagli attori del Maly e da allievi appena diplomati all’Accademia Teatrale di San Pietroburgo di cui Dodin dirige il dipartimento di recitazione. Protagonista di Gaudeamus (il titolo rimanda a una celebre canzone della goliardia universitaria medievale) è un piccolo contingente militare. In un susseguirsi di scene poetiche e insieme violente, delicatissime ma anche devastanti, Dodin all’epoca intese descrivere l’insensatezza della vita militare - e della guerra - la violenza esercitata dal sistema sul singolo, la crudeltà della vita tout-court.

Oggi, a un quarto di secolo dal debutto, lo spettacolo è stato riallestito con attori giovani e giovanissimi “Alcuni di loro non erano nati - spiega Dodin - o lo erano appena quando lo spettacolo fece la sua comparsa sulle scene. Si sono appena diplomati all’Accademia, non hanno conosciuto direttamente l’Unione Sovietica né la perestrojka, possiedono un immaginario collettivo altro, rispetto a chi li ha preceduti nei ruoli. Gaudeamus è uno spettacolo che parla dell’essere umano, degli esseri umani, dei rapporti che li legano gli uni agli altri, del loro modo di rapportarsi al sistema, qualunque esso sia, giusto o ingiusto. Pertanto questa nuova versione del mio spettacolo viaggia nella direzione di una mancanza di significato della vita in senso atemporale e universale, sicché alcuni momenti, se vogliamo, acquisiscono un realismo e una violenza ancora più crudi: quel che si vede in scena è il circo della vita».

Grandi spettacoli e regie shakespeariane (“Finché non dirigi Shakespeare, non ti prendono sul serio” ebbe a dire), attori straordinari, che educa a partire dall’Accademia teatrale di San Pietroburgo per poi renderli protagonisti dei suoi spettacoli. Anni di studio e lavoro per arrivare ad allestimenti memorabili, da Commedia senza titolo al recente Vita e destino. Dopo Ljubimov, Dodin ha scritto una pagina indelebile nella storia del teatro russo, e continua a scriverla, al ritmo di (almeno) una produzione nuova all’anno. Il suo teatro è fisico, a partire dai materiali (acqua, legno, terra), per proseguire con la recitazione, in cui acrobazia e agilità sono essenziali, e la musica (i suoi attori suonano sempre almeno uno strumento e non manca mai musica eseguita in scena). Dai primi anni Novanta, è di casa al Piccolo e a Milano e il pubblico italiano non gli ha mai fatto venir meno il proprio affetto e il proprio entusiasmo.

Durata: due ore e 10 minuti senza intervallo
Piccolo Teatro Strehler
dal 27 al 31 gennaio 2016
Gaudeamus
dal racconto "Battaglione di costruzione" di Sergeij Kaledin
adattamento e regia Lev Dodin
assistente alla regia Oleg Dmitriev
scene Alexei Porai-Koshits
collaborazione artistica Valery Galendeev
produzione Maly Teatr San Pietroburgo

Spettacolo in russo con sovratitoli in italiano


venerdì 29 gennaio 2016

Milonga: Che Bailarin

Altra bella serata, iniziata tardi e finita tardi.
Ballato bene, con soddisfazione.
Ricordo la giovane Martina, Francesca ed altre di cui non ricordo il nome.


Cinema: Ti Guardo

Locandina italiana Ti guardo
Con grande controllo dell'immagine, il regista venezuelano Lorenzo Vigas debutta al lungometraggio con un film intenso e perturbante
Paola Casella      *  *  *  -  -

Armando Marcano è un cinquantenne venezuelano che gestisce un negozio di protesi dentarie da lui stesso messe a punto con perizia tecnica e diligente attenzione al dettaglio. Nel tempo libero Armando adesca ragazzi di strada che fa spogliare davanti a lui, senza toccarli. Uno di questi è Elder, che però non si lascia svestire, e lo apostrofa dandogli della "checca". Se Elder è orfano di padre, Armando vorrebbe vedere il proprio padre morto. Ma a poco a poco fra i due si instaura un legame che sfugge alle definizioni e che ha molto più a che fare con i rapporti di potere fra classi sociali destinate a rimanere rigidamente separate che con una sessualità per Armando confinata al solipsismo.
È proprio dal contatto fisico, o dalla sua mancanza, che prende il via la storia di Armando e di Elder. Il ragazzo cerca il contatto fisico anche attraverso le botte e gli spintoni, il cinquantenne lo rifugge come oscuro precipitato di un rapporto con il padre e, forse, con una madre troppo idealizzata, che vediamo solo in una galleria fotografica simile ad un tempietto pagano. Tutto ciò che circonda Armando (esseri umani compresi) è fuori fuoco, ma quando Elder comincia a porsi al centro dell'esistenza dell'uomo più anziano, rubandogli di fatto l'inquadratura, gli equilibri saltano e le conseguenze si fanno pericolose.
Con grande controllo dell'immagine, dalla palette dei colori sfumati al netto distacco fra sfondo e primo piano, il regista venezuelano Lorenzo Vigas debutta al lungometraggio con un film intenso e perturbante sceneggiato sulla base di un soggetto coscritto insieme a Guillermo Arriaga. Desde allà realizza cinematograficamente il sogno panamericano di Che Guevara poiché unisce le creatività del venezuelano Vigas, del messicano Arriaga e del cileno Alfredo Castro, l'attore feticcio di Pablo Larrain che qui incarna con lunare straniamento l'apatico Armando, sempre pronto a produrre una mazzetta di bigliettoni con cui comprare gli esseri umani che rifiuta di toccare.
Armando sa, per formazione socioculturale, che avrà sempre il coltello dalla parte del manico in un Venezuela diviso in caste destinate a non interagire, se non in termini di violenza e sopraffazione. In quella struttura gerarchica non può esistere una terza possibilità di comunicare, né con i corpi né con le parole, cui spesso Vigas sostituisce genialmente i suoni d'ambiente - il trapano che sembra implorare pietà con il suo gemito stridulo e insistente, il fruscio del denaro che sancisce l'accettazione fuori campo di uno scambio mercificatore.
Niente di tutto questo è "normale" ma è tutto quotidiano, e dimenticare i propri peccati, come singoli e come nazione, sembra la regola non scritta, eppure da tutti ben compresa. Tutti meno Elder, antieroe pasoliniano tracimante rabbia e tenerezza, commovente nello sfoggiare la maglia numero 10 degli attaccanti e dei fantasisti del pallone, e invece confinato a un'officina e a una baraccopoli di Caracas. In un Paese di cattivi padri ai figli, e ai figli dei loro figli, non resta spazio per trovare la propria umanità, o la propria identità maschile. Ed è proibito colmare le distanze che fanno comodo a pochi: ma sono i pochi che contano.

A me non è piaciuto..


martedì 26 gennaio 2016

Ristorante: U Barba


Osteria genovese molto carina nell'arredamento ed un ottima cucina. Focaccia al formaggio e Testaroli al pesto veramente sublimi. E conto assolutamente accettabile.


venerdì 22 gennaio 2016

Teatro: Il Gabbiano

Nonostante fossimo nel secondo loggione, posti notoriamente scomodi, mi sono goduto lo spettacolo. Attori non tutti dello stesso livello, prima parte senza lode, seconda molto più coinvolgente.




Teatro Studio Melato
dal 12 al 24 gennaio 2016
Gabbiano
di Anton Cechov
adattamento e regia Carmelo Rifici
scene Margherita Palli, costumi Margherita Baldoni
musiche Zeno Gabaglio, luci Jean Luc Chammonat
con Fausto Russo Alesi, Maria Pilar Pérez Aspa, Giovanni Crippa, Ruggero Dondi, Mariangela Granelli, Igor Horvat, Emiliano Masala, Giorgia Senesi, Anahi Traversi
e con la amorevole partecipazione di Antonio Ballerio Maspero
scenografie, oggetti di scena e costumi realizzati dai Laboratori del Piccolo Teatro
produzione LuganoInScena
in coproduzione con LAC - Lugano Arte e cultura, Piccolo Teatro di Milano - Teatro d'Europa e Teatro Sociale di Bellinzona
con il sostegno di Pro Helvetia, Fondazione svizzera per la cultura 

mercoledì 13 gennaio 2016

Teatro: La recita di Versailles


Paolo Rossi e Molière allo specchio. Dal loro confronto nasce uno spettacolo irriverente, caustico e veritiero, in cui non troverete niente di tutto ciò che potremmo aspettarci da un “classico”.
Ispirandosi a L’improvvisazione di Versailles (da cui il titolo), commedia del 1663 in cui l’autore racconta se stesso e la sua compagnia dichiarando le proprie idee sull’arte drammatica, lo spettacolo è creato e ricreato ogni sera dall’estro di Paolo Rossi e di un’agguerrita compagine di attori. Un anarchico viaggio nel tempo che si giova anche di folgoranti estratti da almeno tre dei capolavori di Molière, per l’occasione tradotti e adattati dal drammaturgo Stefano Massini. Non solo un’incursione nelle opere e nella biografia del grande francese, ma anche il lavoro “dietro le quinte” di una compagnia alle prese con uno spettacolo da allestire in tutta fretta. Una commedia che mette a confronto in un gioco di specchi temporali ed esistenziali il lavoro e la vita del capocomico Molière e del personaggio capocomico Paolo Rossi. Perché i problemi che si trova ad affrontare il nostro “monsieur Molière” - le rivalità con gli altri “teatranti”, le sfuriate delle prime attrici/attori, le ristrettezze economiche e le mille quotidiane difficoltà che accompagnano la messa in scena di un nuovo spettacolo - non sono cambiati, negli ultimi quattrocento anni... Così come non sono cambiate, secondo Paolo Rossi, le dinamiche interne a una compagnia teatrale: «Molière mi affascina per le voci che circolano sul suo lavoro e la sua vita privata, ma soprattutto per le leggende - le chiamerei così - sulla sua compagnia, che mi è sempre apparsa come una famiglia che oggi chiamerebbero allargata. Avrei voluto vivere e recitare con loro, e infatti ho sempre voluto che le compagnie con cui ho lavorato diventassero una famiglia. Quelle belle famiglie con tante persone e non poche solitudini, costrette a restare unite amorevolmente per affrontare nuove sfide».


Piccolo Teatro Strehler
dal 12 al 24 gennaio 2016
Molière: la recita di Versailles
novità di Stefano Massini, Paolo Rossi, Giampiero Solari
regia Giampiero Solari
scene e costumi Elisabetta Gabbioneta
luci Gigi Saccomandi
con Paolo Rossi, Lucia Vasini, Fulvio Falzarano, Mario Sala, Emanuele Dell’Aquila, Alex Orciari, Stefano Bembi, Mariaberta Blasko, Riccardo Zini, Irene Villa, Karoline Comarella, Paolo Grossi
canzoni originali Gianmaria Testa
musiche eseguite dal vivo I Virtuosi del Carso
produzione Teatro Stabile di Bolzano

domenica 10 gennaio 2016

Sci: Pila

Prima uscita. Sotto la neve.
Gente non tanta, nevica tanto ma la mattina visibilità buona, peggiora nel pomeriggio.
Neve piacevole
Gambe ok

venerdì 8 gennaio 2016

Milonga: Che Bailarin a.k.a. "da Zotto"

Anche stasera pieno ma un po meno dell'ultima volta, quindi si riesce a ballare abbastanza bene.
Poche amiche, molte signore gia viste, molte mai.
Inizio da una di queste (bene) per poi ballare con una studentessa giovane ma molto a modo. Molto bene.
Poi Giovanna T (molto bene, ma non magico come altre volte), una signora bionda (molto bene), la signora agè in nero che balla benissimo, ancora con Giovanna.
Mi rimangono un paio di tande insoddisfatte, ma le mirade non sono state ricambiante, quindi. niente

martedì 5 gennaio 2016

Milonga: Epoca Tango Pensalobien La milonga della Befana

Solito casino che avevo trovato il 26 Dicembre.
Unica nota positiva l'incontro con Simona B con cui almeno ho ballato due belle tande, anche se mi ha fatto fare tardissimo.
Per il resto niente di particolarmente notevole. Un paio di tande carine, non di più.

domenica 3 gennaio 2016

Cinema: Mr. Holmes - Il mistero del caso irrisolto

Locandina italiana Mr. Holmes - Il mistero del caso irrisolto


Un film estremamente canonico che decostruisce la mitologia per poi riaffermare il potere della leggenda sulla realtà
Gabriele Niola      *  *  -  -  -


Ritiratosi da tempo in una casa di campagna e abbandonata ormai la professione, Sherlock Holmes è un anziano che lotta con la perdita di memoria e le difficoltà di una vita senile. C'è però ancora qualcosa che deve scoprire, un dettaglio nella sua memoria che non riesce a mettere a fuoco, relativo alla maniera in cui ha chiuso la sua carriera. Un disastro con le api della sua coltivazione, un non ben chiaro viaggio in Giappone e il rapporto con la donna che bada alla casa e il suo bambino, condiscono questa ricerca privata.
Lo Sherlock Holmes di Bill Condon viene dal romanzo "A slight trick of the mind" di Mitch Cullin, non ha mai portato il caratteristico berretto che conosciamo, non fuma la pipa ma preferisce le sigarette e, ormai anziano, non sopporta vedere se stesso nelle molte versioni per il cinema, piene di bugie; non è insomma lo Sherlock dei racconti di Watson ma uno più terra terra. Si tratta del primo scarto dal mito verso un ipotetico realismo che caratterizza un film che programmaticamente decostruisce la mitologia per poi riaffermare (con rinnovato ardore) il potere della leggenda sulla realtà.
Ian McKellen è il centro di tutto e mette in campo un vasto repertorio di anzianità esasperata: boccheggia, guarda nel vuoto, mostra momenti di totale assenza, arranca e tutto d'un tratto riesce ad animarsi di grande forza fisica per sforzi momentanei. L'attore mette in mostra se stesso e il suo mestiere, l'esagerazione della mimesi e la sostituzione tra personaggio (quello che dovremmo illuderci di guardare, cioè Sherlock Holmes) e il suo interprete (quello che in ogni momento la prestazione sopra le righe ed autoriferita di Ian McKellen ci ricorda che stiamo in realtà vedendo). Questa però è l'unica realtà che non si dovrebbe sostituire al mito, anche perchè il film di Bill Condon è molto lontano dal voler tentare un audace esperimento di linguaggio e anzi è estremamente canonico e smielato nel cercare l'approvazione del suo pubblico.
Mentre con una mano distrugge il mito di Holmes, privandolo del famoso intuito, sottraendogli le caratteristiche investigative, mettendolo al centro di una trama che non ha nulla a che vedere con quelle cui è abituato, Bill Condon, con l'altra, pone il detective in condizione di operare egli stesso una scelta tra verità e leggenda (o sarebbe meglio dire menzogna). Nella grande indagine all'interno di se stesso e della sua memoria (un espediente insipido a vedersi così come a leggersi) Sherlock comprende che forse la scoperta finale, lo svelamento del mistero, non dev'essere divulgato e anzi merita di essere imbellettato con una bugia.
Per tutto il corso di quest'avventura, che non è tale, Condon non contempla la terza età ma la edulcora, affiancando al protagonista il più scontato dei bambini dagli occhi appassionati e mettendo i due in un rapporto affettivo che vivrà anch'esso la sua rottura e ricomposizione. Si manifesta così l'atto finale della distruzione di Holmes, già privato di tutto ciò che lo rende unico e poi massacrato anche nel carattere, fino a diventare un personaggio come tutti gli altri, privo di qualsiasi originale spigolosità e buono per rassicurare chiunque.