lunedì 27 gennaio 2014

Balletto: Blind Date


La grande coreografa Mei-hong Lin, allieva prediletta di Pina Bausch, presenta un lavoro di grande impatto non solo coreografico, ma anche emotivo. “Blind Date” ci parla della ricerca del partner ideale, un sogno che spinge gli esseri umani da tempo immemorabile. Servizi di incontri e di chat-room su Internet, agenzie matrimoniali e di cuori solitari, flirt via SMS Flirt, eventi per single: sono le principali tendenze nella ricerca di un nuovo partner nella moderna società di massa. Ma alla fine tutti conducono a un solo, definitivo risultato: il “blind date”, l'appuntamento al buio! La iniziale comunicazione non verbale nel corteggiamento tra i due sessi e la ricerca del vero amore diventano per Mei-hong Lin il materiale ideale per un vivace e frenetico momento di teatro-danza.



Spettacolo molto leggero, divertente, ben danzato.
Uno spreco per buona parte del pubblico del Manzoni, interessato solo a farsi vedere, non a guardare.


domenica 26 gennaio 2014

Mostra: Piero Fornasetti 100 anni di follia pratica


Triennale Design Museum ha deciso di rendere omaggio a questa figura per evidenziarne l’importanza e ricollocarla correttamente nell’ambito del dibattito critico e teorico sull’ornamento come elemento strutturale del progetto.
Pittore, stampatore, progettista, collezionista, stilista, raffinato artigiano, decoratore, gallerista e ideatore di mostre, Fornasetti è stato una personalità estremamente ricca e complessa. Ha disegnato e realizzato circa 13.000 tra oggetti e decorazioni: un universo fatto in egual misura di rigore progettuale, artistico e artigianale come di fantasia sfrenata, invenzione surrealista e poesia.
Il percorso della mostra si articola in sezioni che spaziano dagli esordi pittorici vicini al Novecento alla stamperia di libri d’artista, dalla stretta collaborazione con Gio Ponti negli anni ’50 e ’60 ai più difficili anni ’70 e fino al 1988, anno della sua morte, un lungo periodo contrassegnato per la maggior parte dal dogma razionalista imperante della funzionalità nell’architettura e nel design che ha fatto di lui una figura marginale senza per questo spegnerne la creatività vulcanica.








venerdì 24 gennaio 2014

Cinema: Still Life


Un film rigoroso, denso, profondo nell'immagine e nel senso

John May è un funzionario comunale dedicato alla ricerca dei parenti di persone morte in solitudine. Diligente e sensibile, John scrive discorsi celebrativi, seleziona la musica appropriata all'orientamento religioso del defunto, presenzia ai funerali e raccoglie le fotografie di uomini e donne che non hanno più nessuno che li pianga e ricordi. La sua vita ordinata e tranquilla, costruita intorno a un lavoro che ama e svolge con devozione, riceve una battuta d'arresto per il ridimensionamento del suo ufficio e il conseguente licenziamento. Confuso ma null'affatto rassegnato, John chiede al suo superiore di concedergli pochi giorni per chiudere una 'pratica' che gli sta a cuore e che ha il volto di Billy Stoke, un vecchio uomo alcolizzato che aveva conosciuto un passato felice. Di quel passato fa parte Kelly, la figlia perduta per orgoglio molti anni prima. Lasciata Londra per informarla della dipartita del genitore, John si muove tra i vivi e assapora la vita che ha il volto di una donna e il sapore di una cioccolata calda.
Quando si muore si muore soli, cantava Fabrizio De Andrè e scriveva Cesare Pavese che avrebbero potuto immaginare e mettere in versi il protagonista di Still Life, scritto, diretto e prodotto da Uberto Pasolini. Un film rigoroso, coerente, denso, profondo nell'immagine e nel senso, che ha la precisione e la lentezza di Tsai Ming Liang e la fissità e la dimensione iconica di Ozu. Non sembrino esagerati i riferimenti perché Still Life è un'opera importante che respira cinema dall'inizio alla fine.
Al suo secondo film, Pasolini ha un'idea di cinema coerente e matura che racconta i giorni sempre uguali di un funzionario comunale 'morto' in vita e riscoperto al tavolo con una donna. Una giovane donna divorata come lui, e le persone che 'seppellisce' e 'archivia', dalla solitudine e dal mare famelico che può essere la vita. Il punto di vista iniziale sul personaggio basta a imprimere un segno di funerea fatalità alla storia, insinuando un presagio e un destino. John May è la natura morta del titolo ed è la materia di cui è fatta la sua vita, che nel suo svolgersi produce un'altra possibile logica del mondo tutta da scoprire, tutta da rilevare. Perché da John apprendiamo la cura dovuta ai morti, compresi quelli che non hanno più nessuno a cui dare disposizioni, a cui lasciare in eredità il desiderio, a cui testimoniare il proprio. Alla loro sepoltura con pietas e misericordia provvede il protagonista, accompagnandoli sull'altra riva e ricomponendone la storia.
Diversamente da Foscolo, John è convinto che "all'ombra dei cipressi e dentro l'urna confortata di pianto" il sonno della morte possa essere meno duro. John May del poeta ha la forza intramontabile della poesia, capace di (re)suscitare i sentimenti più belli, di superare i limiti temporali e geografici, di ripristinare la giustizia che la vita con il suo corso ha sopraffatto. Interpretato con lirica sospensione da Eddie Marsan, John May ricopre una funzione sociale rilevante che eleva lo spirito nel momento in cui accoglie e custodisce e che ci sprona a vivere con responsabilità civile il nostro ruolo nella società. Perché, parafrasando Ennio Flaiano, un lavoro ben fatto è la vera rivoluzione.


lunedì 20 gennaio 2014

Milonga: Biko

Il biko è arrivato ad un punto di svolta: è cambiata la gente, sono arrivati tanti fenomeni principianti e ballare è diventato impossibile. troppo casino. Peccato.
Ballato quindi abbastanza ma malino dino all'1. poi un po meglio.
Con Grazia Gra, Sonia, Marisa.

lunedì 13 gennaio 2014

Milonga: Biko

Al Biko sta cambiando la gente, specie gli uomini. Tanta gente nuova, ma di livello tecnico inferiore. Speriamo sia un caso di inizio Gennaio.
Io non ero in forma, con equilibrio precario e quindi non ho ballato bene.
Con le ballerine nuove ho preso mezze od intere fregature, con il resto ho fatto figure io.
Conosciuto la sorella di Laura.

domenica 12 gennaio 2014

Mostra "MILANO TRA LE DUE GUERRE. Alla scoperta della città dei Navigli attraverso le fotografie di Arnaldo Chierichetti"



Omaggio al capoluogo lombardo a ai suoi Navigli, centoquaranta fotografie raccontano di una Milano oggi scomparsa ma che Arnaldo Chierichetti ha saputo immortalare attraverso la sua macchina fotografica.

Le immagini degli scorci più significativi della città meneghina testimoniano i numerosi e massicci interventi urbanistici e architettonici che si susseguirono nella prima metà del Novecento, primo fra tutti la copertura dei Navigli terminata nel 1930.

Le vedute del capoluogo sono accompagnate da fotografie dedicate all'illustrazione di episodi della vita quotidiana, come il barcone trainato dal cavallo davanti al vecchio Ospedale in via Francesco Sforza.



Mostra veramente interessante. L'interramento dei Navigli è inconcepibile

venerdì 10 gennaio 2014

Cinema: Moliere in bicicletta


Commedia in versi e in cinque atti, un omaggio al mondo del teatro e alla fragilità dei suoi protagonisti

Gauthier Valence è un attore celebre e amato dal pubblico, che lo segue appassionato in un medical drama francese. Stufo di interpretare eroi buoni di fiction televisive decide di mettere in scena Molière e di chiedere aiuto a Serge Tanneur, grande talento del teatro ritiratosi tre anni prima al culmine della sua carriera. Raggiunto Serge a l'Île de Ré, Gauthier prova a convincerlo a tornare a recitare, proponendogli "Il Misantropo", che Serge ha sempre sognato di interpretare. Adulato e lusingato, Serge fa resistenza e chiede a Gauthier qualche giorno di prova. Narcisi ed egoisti, decidono di fare a turno la parte di Alceste, il protagonista innamorato di Celimene e amico di vecchia data di Filinte. Alternando il ruolo di Alceste con quello di Filinte e ripetendo fino allo sfinimento la scena uno dell'atto primo, Serge e Gauthier arrivano al termine della 'recita' e a un passo dal capirsi. Ma l'incontro con Francesca, una bella italiana divorziata, sconvolgerà il loro equilibrio, scompaginando testo e vita.
Commedia in versi e in cinque atti, "Il Misantropo" è la storia di un uomo intransigente, che rifiuta l'ipocrisia ed esibisce una rigida rettitudine che si ripete 'per principio', allontanandolo dal mondo e dalle relazioni umane. E come l'Alceste di Molière, Serge Tanneur si è congedato dalla mondanità e dai riflettori, ripiegando nella solitudine e nella lagnanza, da cui lo stana Gauthier Valence. Scorbutico, geloso e crudelmente sincero, il personaggio di Fabrice Luchini trova in Lambert Wilson un'antagonista all'altezza, con cui provare e (ri)provare a se stesso di essere il migliore. Portatori di una comicità corrosiva, Luchini, saturo di bile nera, e Wilson, pieno di vanagloria, interpretano a turno l'Alceste molièriano, esibendo la dimensione atemporale del suo carattere e la modernità dei suoi difetti. Nato dall'ossessione di Fabrice Luchini per il commediografo francese, Molière in bicicletta è una commedia che mette in crisi, ridicolizzandoli, gli automatismi su cui la società (dello spettacolo) si fonda.
Confrontando due attori diversi per fama e formazione, uno si è ritirato dal mondo e non scende mai a compromessi, l'altro vive nel mondo a cui si adatta attraverso il compromesso, Philippe Le Guay realizza un omaggio al mondo del teatro e alla fragilità dei suoi protagonisti, battuti dal vento dell'Atlantico e trionfanti sulla metrica francese. Lo schema ritmico della commedia è alessandrino e fedele alla musicalità del poeta, al cui servizio si mettono Luchini e Wilson, entrando in comunicazione col movimento creativo del testo originale. Sul divano o in sella alla bicicletta del titolo, Serge e Gauthier declamano versi e incarnano la 'cattiva piega' dell'anima, infilando curve senza freni e specchiando l'uno nell'altro la propria crisi e i propri fallimenti. Alla ricerca di una felicità che si allontana, si spingono a largo fino a un irrecuperabile distacco, che arena Serge sulla spiaggia e 'inciampa' Gauthier sul palcoscenico. Le parole, quelle in versi e quelle in prosa, servono da travestimento della realtà e da segno di riconoscimento ma pongono continuamente a rischio il suo disvelamento.
La pièce ripetuta e ridetta non è altro che il riflesso di un'altra messa in scena, fatta degli scambi interminabili e delle piccole ipocrisie dei protagonisti, scambi che tradiscono un presente cupo e cercano una rivalsa nella creazione artistica, che al contrario non salva nessuno e dice a ciascuno il fatto suo. Nella forma cortese di Molière o in quella leggera di Jimmy Fontana, che mette in guardia sulla volubilità dell'uomo e la mobilità del mondo.

Divertentissimo.

lunedì 6 gennaio 2014

Milonga: Biko

Riapertura dopo le feste.
Tanta, tantissima gente, purtroppo anche non di gran livello (specie gli uomini).
Quindi gran casino e ballo cosi cosi.
Provato delle ballerine nuove, ma ballato bene con quasi nessuna, tranne Francesca.


Cinema: Capitan Harlock


Con il personaggio protagonista eccessivamente in disparte, il film perde il romanticismo originale

Il pianeta Terra, ormai abbandonato da centinaia d'anni da una popolazione troppo numerosa per contenerlo, è diventato un luogo inviolabile e quasi sacro, mantenuto tale con pugno di ferro e fermezza militare dalla coalizione Gaia. Ad essa si contrappone Capitan Harlock e la sua ciurma a bordo dell'Arcadia, a cui si è appena aggiunto un nuovo elemento: Logan, fratello dell'ufficiale disabile Ezra e dunque infiltrato di Gaia dentro l'armata di Harlock con il compito di uccidere il capitano.
Quando però Logan capirà qual è l'ideale che muove Harlock, che ha sempre percepito come un nemico, sarà pronto a schierarsi con lui contro il fratello, il quale lo accusa di aver causato la sua disabilità.
La sesta reiterazione del mito di Capitan Harlock (la prima in CG, la prima in 3D) è il più grande sforzo produttivo di sempre per la Toei Animation e, come è accaduto per ogni arrivo del capitano con una nuova avventura, ne riscrive la storia a seconda delle proprie esigenze di trama. L'Harlock del film di Shinji Aramaki è un ex ufficiale dell'esercito nemico (l'avevamo già visto in passato avere quest'origine) e ha in comune con il classico personaggio di Matsumoto l'etica, il carattere solitario e taciturno, la morale di ferro e l'opposizione strenua ai regimi totalitari, in lotta per la libertà, oltre a recuperare alcune figure già viste in altre produzioni (come l'alieno Mime).
È insomma in linea con il mito di Harlock quest'ultima produzione che tuttavia tiene il capitano lontano dai riflettori. Nella visione di Aramaki infatti Harlock è una leggenda inafferrabile, vive sullo sfondo, nell'oscurità, compare di colpo e se ne va altrettanto rapidamente, è una leggenda più mormorata che vista, parla anche meno del solito e agisce con parsimonia. Il centro della storia sono infatti i due fratelli che si trovano ai lati opposti dello schieramento nella lotta tra l'equipaggio dell'Arcadia e l'esercito di Gaia per il recupero del pianeta Terra.
Capitan Harlock però non aggiorna solo l'animazione (in una computer grafica priva di motion capture) ma anche lo storytelling, eliminando ogni forma di romanticismo per sostituirlo con un'epica più banale e meno efficace. Harlock diventa ostentatamente mitico, muove di più e appositamente il mantello e fa solo entrate ad effetto mentre non vediamo la parte più struggente del personaggio. Il film di Aramaki è infatti un racconto spaziale più generico e simile ad altri che non cerca l'originalità di Matsumoto (del resto come si diceva Harlock rimane in secondo piano) ma attinge a piene mai e in maniera abbastanza esplicita dal quarto episodio della saga di Guerre Stellari.

Con il conflitto familiare dei due protagonisti a fare da perno di una storia raccontata con un passo forse eccessivamente lento, quello che si perde è allora il risvolto piratesco del film. Nonostante una delle prime battaglie mostri il capitano al timone in un abbordaggio straordinario, lo stesso quell'idea di un reietto che si batte per la libertà contro tutto e tutti, fuori da ogni regola e seguendo un proprio codice personale è totalmente assente.

La trama è di difficile comprensione ed alla fine rende il film un pò lungo e pesante.
Peccato che Capitan Harlock e ciurma erano fascinosi.

venerdì 3 gennaio 2014

Cinema: Philomena



Irlanda, 1952. Philomena resta incinta da adolescente. La famiglia la ripudia e la chiude in un convento di suore a Roscrea. La ragazza partorirà un bambino che, dopo pochi anni, le verrà sottratto e dato in adozione.
2002. Philomena non ha ancora rinunciato all'idea di ritrovare il figlio per sapere almeno che ne è stato di lui. Troverà aiuto in un giornalista che è stato silurato dall'establishment di Blair e che accetta, seppur inizialmente controvoglia, di aiutarla nella ricerca. Gli ostacoli frapposti dall'istituzione religiosa saranno tanto cortesi quanto depistanti ma i due non si perdono d'animo.
Stephen Frears racconta in questo suo riuscitissimo film la storia vera di una madre alla ricerca del figlio perduto che Martin Sixsmith ha reso nota con il libro "The lost Child of Philomena Lee" che, pubblicato nel 2009, ha consentito a molte donne di sentirsi sostenute nel raccontare il loro 'vergognoso' passato. Frears di lei dice: "Incontrando la vera Philomena Lee ero sorpreso dal fatto che volesse venire sul set, cosa che ha fatto il giorno in cui veniva girata la scena terribile della lavanderia. Philomena è una donna magnifica, priva di autocommiserazione, che continua ad avere fede nonostante le ingiustizie subite". Sta proprio nella chiusura di questa dichiarazione il senso profondo di un film che sa commuovere, far pensare e anche divertire. Perché sul grande schermo ne abbiamo già viste molte di vicende di madri che cercano i figli loro sottratti nei più diversi modi e Peter Mullan con Magdalene aveva già denunciato nel 2002 l'atroce situazione di queste giovani vite affidate a religiose accecate da una presunta fede.
Frears però ci fa sapere che Philomena non ha perso la fede (quella vera) e costruisce il suo film (grazie a due formidabili interpreti come Judi Dench e Steve Coogan) proprio sul confronto tra due persone che partono da punti di vista in materia estremamente distanti. Martin giornalista e studioso della storia della Russia non crede in Dio ed ha scarsa fiducia anche negli esseri umani di cui ha assaggiato sulla propria pelle la feroce doppiezza. Philomena non è una donna colta (legge romanzetti d'amore di cui ricorda ogni dettaglio) e avrebbe mille ragioni per essere divenuta una delle atee più rigorose ma non è così. Perché è riuscita, anche nella sofferenza più profonda, a non confondere Dio con coloro che hanno talvolta la pretesa (trasformata in potere prevaricatore e assoluto) di rappresentarlo.

Philomena e Martin si confrontano e anche si scontrano in materia (anche perché il giornalista non le risparmia mai il proprio scetticismo) ma non si tratta qui di chi abbia ragione o abbia torto. Si tratta piuttosto di un incontro che è sempre possibile quando si è capaci di andare al di là delle barriere che il pregiudizio erige tra le persone. Frears riesce a raccontarlo grazie all'umanità che ha pervaso i suoi film migliori e alle doti di narratore di grande spessore.

Il film non mi ha convinto del tutto: la trama scorre liscia senza sostanziali colpi di scena. tutto il film è centrato su Judy Dench, ma non basta.


giovedì 2 gennaio 2014

Milonga: ARCI Bellezza

non c'èro mai stato, nonostante sia una milonga storica. Me ne avevano parlato male, come di un posto chiuso.
iri sera però era "prestato" a Spazio A e la genete era diversa.
Tanta gente. Tanto caldo e poco ossigeno.
musica bella però, classica ma molto ballabile.
Ballato parecchie tande con alti e bassi, e qualche urto.


Mostra: Rodin. Il marmo la vita

L’illusione della carne e della sensualità è il tema intorno a cui si sviluppa la prima sezione, nella quale sono raccolte alcune opere giovanili, di stampo classico, fra cui il celeberrimo “Homme au nez cassé", rifiutato dal Salon parigino del 1864, un ritratto omaggio al grande genio Michelangelo. Al vertice di questa sezione sarà “Il Bacio", la scultura che rappresenta due amanti e fece scalpore nella Francia di fine Ottocento.

La seconda sezione propone alcune fra le sculture più conosciute di Rodin e dimostra la piena maturità del maestro anche dal punto di vista della capacità di elaborazione delle figure che emergono dai candidi blocchi di pietra. Accanto a ritratti di grande intensità, come il busto dedicato alla compagna di una vita Rose Beuret, si alternano richiami all’eros e alla disinibita ricerca formale ed estetica del maestro, manifestando la sua necessità di tentare nuovi percorsi scultorei.

La poetica dell’incompiuto caratterizza la terza sezione dove si rappresenta il trionfo del “non finito", l’artificio linguistico che rimanda immediatamente a Michelangelo e che Rodin svolge in una chiave di assoluta modernità, poi ampiamente assunta dai suoi colleghi. Qui sono ordinati alcuni fra i più bei ritratti eseguiti dall’artista, fra i quali quello a Victor Hugo.

La mostra si avvale di un’attività di ricerca svolta dal Musée Rodin, che ha condotto un’ampia analisi storica e critica sulla bottega artistica del genio francese e le sue metodologie di elaborazione della pietra. Da alcuni anni il Musée Rodin si è infatti impegnato a ristudiare la produzione marmorea di Rodin arrivando a individuare, dove possibile, anche i singoli collaboratori che hanno lavorato ai blocchi di marmo, indicazione che si trova su tutte le didascalie in mostra.

Lo straordinario allestimento è stato progettato dallo studio internazionale Bureau des mésarchitectures — Didier Faustino, per ricreare l’idea dell’atélier in cui Rodin produceva i suoi capolavori, insieme ai suoi assistenti, e per creare un dialogo forte con lo spazio architettonico della Sala delle Cariatidi. Anche grazie alle luci di Giambattista Buongiorno, i marmi bianchi di Rodin prenderanno vita in un contesto suggestivo e sorprendente, che consentirà ai visitatori di approfondire tutti i temi che hanno caratterizzano la sua produzione plastica.