giovedì 2 ottobre 2014

Cinema: Jimi - All is by my side



John Ridley si confronta con uno dei miti immortali del pantheon rock, affidandone il ruolo alla sorprendente interpretazione di André Benjamin

Vita e opere di Jimi Hendrix, dall'anonimato come turnista per Curtis Knight all'affermazione in terra britannica con la Jimi Hendrix Experience, tra donne che lo guidano, come Linda Keith, o che provano a amarlo, come Kathy XXX. Fino al festival di Monterey, che lo consegnerà definitivamente alla storia.
Il difficile equilibrio che è croce e delizia di ogni biopic - rispetto verso l'oggetto della narrazione e gratificazione dei fan da un lato, riuscita del film come opera d'arte autonoma dall'altro - porta a rari casi realmente soddisfacenti in ambito rock (tra le poche eccezioni Control di Anton Corbijn). John Ridley, già sceneggiatore di 12 anni schiavo, gioca una carta oltremodo ambiziosa, confrontandosi con uno dei miti immortali del pantheon rock. Accantonando possibili e perniciose derive legate alla morte di Hendrix, tra tesi fantasiose e moralismi fuori luogo, Ridley opta per il periodo musicalmente più creativo ed esplosivo del nostro, quello della gioventù trascorsa da star in ascesa nella swingin' London. Su Jimi: All is by My Side pesa come un macigno, prevedibilmente, l'impossibilità di utilizzare i brani firmati da Hendrix stesso, per esplicita volontà degli eredi: niente "Hey Joe" e "Purple Haze", quindi, con il momento di climax live (tipico dei biopic musicali) delegato curiosamente alla cover di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, eseguita di fronte ai Fab Four. Considerato l'handicap grave di partenza con cui Jimi: All is by My Side ha dovuto fare i conti, lo sforzo di Ridley è encomiabile e induce a sorvolare sui molti punti di debolezza del film, che insiste sul ruolo di Imogen Poots - nei panni di Linda Keith - fino a renderla una sorta di coro, un punto di riferimento morale che veglia sulla vita di Jimi cercando di indicargli la retta via, sistematicamente smarrita.
L'icona rock è affidata alla sorprendente interpretazione di André Benjamin, rapper degli Outkast, che unisce a una straordinaria somiglianza fisica un notevole lavoro sulla caratterizzazione vocale. Notevoli tuttavia i deficit di scrittura, tali da far apparire Jimi perlopiù come un hippy superficiale che parla di colori e marziani destinati a tornare sulla Terra, con contorno di violenze domestiche e gratuite sulle malcapitate compagne. Una riduzione ai minimi termini del Mito che suona ancor più contraddittoria perché evidentemente involontaria, in un testo che si presenta come tutt'altro che critico verso l'oggetto della narrazione. Anche il confronto con l'impegno politico del militante nero Michael X resta abbozzato e non sortisce gli effetti sperati nella storicamente difficile contestualizzazione socio-politica di Hendrix (secondo la leggenda un ribelle iconoclasta, ma con pochi riscontri nelle testimonianze dirette).
L'uso insistito di un montaggio che spezza il flusso diacronico, anticipando visioni di ciò che verrà, e di un cross-dialogue che ben si sposa con la confusione dei locali bui frequentati dal protagonista, rappresentano un interessante tentativo di uscire dagli schemi più vetusti del biopic, tradito dallo stesso Ridley con il ricorso a freeze-frame enfatici che introducono la comparsa dei vari Clapton e McCartney nella vita di Hendrix.
Un'operazione non priva di fascino, in cui prevalgono i "se" e i "ma" su quel che avrebbe potuto (e dovuto) rappresentare rispetto alle riflessioni che scaturiscono da quanto effettivamente messo in scena.

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