lunedì 23 marzo 2015

Milonga: Biko

E' così cambiato il Biko... non la musica, ma la gente. Gli storici, quelli dell'ascesa del Biko vengono poco o nulla. C'è gente nuova, donne principianti o meno, uomini esibizionisti, poche ballerine brave ed ovviamente gettonatissime.
Forse dovrei prendere una pausa...
Ieri sera inizio pessimo, con una ballerina pesantissima. poi altre tande cosi cosi, meglio nel finale con due tande finalmente carine e ballate con sentimento.
Quasi nessuno con cui parlare..

venerdì 20 marzo 2015

Cinema: Vergine Giurata


Con una regia dalla qualità ipnotica, il film esplora il tema dell'identità, non solo di genere, attraverso immagini essenziali e rigogliose
Paola Casella      *  *  *  1/2  -

Hana, orfana albanese, viene accolta in casa da Gjergi, un montanaro con moglie e una figlia più o meno dell'età della ragazza, Lila. Ma la cultura arcaica che abita quelle regioni, seguendo il severo codice del Kanun, mortifica e reprime il femminile, e Hana si ritrova a compiere una scelta drastica: diventare una vergine giurata, ovvero giurare verginità eterna e assumere un'identità maschile. Da quel momento sarà Mark e condurrà la sua vita come un uomo, ovvero con maggiore autodeterminazione, ma al prezzo di un rifiuto radicale della propria femminilità. Molti anni dopo Mark si reca in Italia, dove ritrova Lila. Nessuno sa il perché della sua venuta, ma a poco a poco, in contatto con una cultura più aperta, Mark ritroverà in sé le tracce di Hana.
Vergine giurata, lungometraggio d'esordio di Laura Bispuri, già David di Donatello per Passing Time e Nastro d'Argento per Biondina, esplora il tema dell'identità, non solo di genere, attraverso immagini essenziali, e allo stesso tempo rigogliose: i corpi sono descritti da vicino con un'intimità fisica quasi disturbante - carne, macchie, muscoli, pieghe della pelle.
La regia di Bispuri ha una qualità ipnotica, soprattutto durante le sequenze acquatiche che stanno diventando un suo "marchio di fabbrica". I dialoghi sono ridotti all'osso, ma la storia è resa esplicita dalla limpidezza della narrazione e dalla recitazione intensa e rigorosa di Alba Rohrwacher, interprete di una femminilità di confine priva di vanità ma non di sensualità segreta.
La cinepresa che soffia sul collo dei personaggi, inseguiti da dietro, ricorda lo stile "documentario" dei Dardenne, e quella del "film di realtà" è evidentemente una scelta narrativa: non a caso Vergine giurata è prodotto, tra gli altri, da Vivo Film, che da sempre predilige questo genere. Ma l'appeal carnale delle immagini ricorda soprattutto l'opera di Lucrecia Martel, la regista argentina che ha raccontato la femminilità, soprattutto adolescente, in modo magistrale in La ciénaga e La niña santa (dove l'acqua assumeva la stessa valenza amniotica che ha in Vergine giurata). Entrambe le registe maneggiano con disinvoltura gli elementi naturali, e non hanno paura di ciò che può apparire osceno o imbarazzante. Attraverso di loro, la conoscenza del corpo e dell'animo femminile si fa forma filmica, e accende un altro riflettore su una realtà diversa (sommersa?) ancora poco vista al cinema.

Film interessante, cupo ma certamente da vedere. La Rohrwacher fa sempre questi personaggi di donna ai margini, rozza. Brava

lunedì 16 marzo 2015

Milonga: Biko

Stasera tutto bene. Ballerine nuove ma in alcuni casi interessanti. Non ho ballato con tutte ma la serata è passata bene

venerdì 13 marzo 2015

Cinema: The imitation Game


Un film "imitativo" nel senso migliore del termine perché tiene visibilmente conto della lezione di molto cinema recente, e crea un racconto che pare la quintessenza della messinscena televisiva britannica
Paola Casella 
Manchester, primi anni '50. Alan Turing, brillante matematico ed esperto di crittografia, viene interrogato dall'agente di polizia che lo ha arrestato per atti osceni. Turing inizia a raccontare la sua storia partendo dall'episodio di maggiore rilevanza pubblica: il periodo, durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui fu affidato a lui e ad un piccolo gruppo di cervelloni, fra cui un campione di scacchi e un'esperta di enigmistica, il compito di decrittare il codice Enigma, ideato dai Nazisti per comunicare le loro operazioni militari in forma segreta. È il primo di una serie di flashback che scandaglieranno la vita dello scienziato morto suicida a 41 anni e considerato oggi uno dei padri dell'informatica in quanto ideatore di una macchina progenitrice del computer.
The Imitation Game rivela le sue intenzioni fin dal titolo: perché è un gioco di sotterfugi e contraffazioni che riguarda non solo il codice nazista, ma anche la stessa attività del gruppo di esperti riuniti per decifrarlo, costretti ad operare sotto copertura. Più profondamente, il "gioco imitativo" caratterizza la vita stessa di alcuni di quegli scienziati, Turing in testa, obbligato a nascondere la propria diversità al mondo, e in particolare a quella società inglese che sforna eccentrici e poi li confina ai margini del proprio rigido e ottuso conformismo.
Turing, una sorta di idiot savant con un prodigioso talento per i numeri e una parallela inettitudine per la convivenza sociale, è il martire perfetto, in questo schema claustrofobico: infatti immolerà il suo genio per la salvezza di tutti, costruendo un macchinario di nome Christopher (cioè "colui che porta Cristo"), e cadendo vittima della ristrettezza di vedute di chi non possedeva neanche un grammo della sua capacità visionaria. Una mente prodigiosa costretta a vivere "in codice", e incapace di decifrare i comportamenti altrui, né di tradurre i propri in comunicazione umana.
The Imitation Game è un film "imitativo" nel senso migliore del termine perché tiene visibilmente conto della lezione di molto cinema recente, e crea un racconto che pare la quintessenza della messinscena televisiva britannica alla Masterpiece Theatre partendo però da una prospettiva "altra". Il regista infatti è il norvegese Morten Tyldum, che si accosta al materiale con totale rispetto dei codici di comunicazione inglesi per raccontarne le contraddizioni e i limiti deumanizzanti. In questo senso la sua operazione non è dissimile da quella realizzata da un altro regista scandinavo, Tomas Alfredson, con il suo La talpa: non è un caso che alcuni attori (Benedict Cumberbatch, che ha il ruolo di Turing, e Mark Strong) e soprattutto la scenografa Maria Djurkovic, abbiano partecipato a entrambi i film. Non è un caso neppure che parte del team creativo dietro The Imitation Game sia europeo ma non inglese: oltre al regista e alla Djurkovic, che è anglo-cecoslovacca, ci sono il direttore della fotografia spagnolo Oscar Faura e il compositore francese Alexandre Desplat. La loro "Inghilterra ai tempi della guerra" è borderline disneyana (si pensi a Pomi d'ottone e manici di scopa) ma è proprio questa rappresentazione iconica a rendere il contrasto con la diversità non omologabile di Turing così stridente. Quell'Inghilterra è la metafora dell'understatement inteso come volontà caparbia di annullare qualsiasi forma di disobbedienza alla "normalità". È l'Inghilterra del rispetto cieco delle tradizioni e delle gerarchie, quella dei burocrati e dei segreti di famiglia conservati in naftlina. È infine l'Inghilterra che si appella al genio di Turing per salvarsi la pelle, ma è pronta a gettare il suo salvatore in pasto alla buoncostume.
The Imitation Game tiene conto di svariati esempi cinematografici recenti, da A Beautiful Mind a The Social Network - la struttura narrativa a flashback e forward di Aaron Sorkin è chiaramente un modello per lo sceneggiatore, Graham Moore - nel ritratto di un protagonista il cui genio viaggia di pari passo con la sua asocialità ai limiti dell'autismo, ma anche del background recitativo di Benedict Cumberbatch, che porta nella sua interpretazione di Turing l'eredità del Julian Assange di Il quinto potere e dello Sherlock Holmes televisivo, creando una continuità ideale fra l'eccentricità irriducibile di ieri e di oggi.
Come anche ne La teoria del tutto, in The Imitation Game la confezione ipertradizionale e priva di guizzi autoriali non fa altro che rafforzare l'impatto della recitazione "totale" del protagonista: con la differenza che Cumberbatch nei panni di Turing è assai più pirotecnico di Eddie Redmayne in quelli di Stephen Hawking. L'intento della produzione, orchestrata da quel mago della corsa agli Oscar che è Harvey Weinstein, è chiaramente quello di assicurare una candidatura al suo attore purosangue. L'operazione, pur nella sua evidente pianificazione a tavolino, riesce comunque: perché Cumberbatch è una space oddity in grado di comunicare infiniti livelli di lettura; perché l'Inghilterra vista dagli outsider ha un impatto drammaturgico efficace; e perché all'interno di questa messinscena canonica e fortemente controllata l'ingiustizia del martirio di Turing risalta con ancora più incomprensibile nella sua crudele incongruenza.

giovedì 12 marzo 2015

Mostra: la camicia secondo me - Gianfranco Ferrè








Mostra spettacolosa e spettacolare, nell'allestimento e nel contenuto. In una sala che è gia meraviglia di suo. Grande emozione

lunedì 9 marzo 2015

Milonga: Biko

Brutta serata, Colpa mia forse, colpa della musica diversa dal solito, colpa delle ballerine.
un mix di tutto

sabato 7 marzo 2015

Cinema: Whiplash


Probabilmente il miglior film musicale degli ultimi 10 anni, un ibrido capace di farsi portatore di idee e punti di vista poco usuali nel cinema statunitense che vanno ben al di là della musica
Gabriele Niola      *  *  *  *  -

Andrew studia batteria jazz nella più prestigiosa ed importante scuola di musica di New York, è al suo primo anno e già viene notato da Terence Fletcher, temutissimo e inflessibile insegnante che a sorpresa lo vuole nella propria band. Il ragazzo è eccitato dalla possibilità ma non sa che in realtà sarà un inferno di prove, esercizi e umiliazioni come non pensava fosse possibile. Gli standard richiesti da Fletcher sono mostruosi e progressivamente alienano sempre di più Andrew dalle altre parti della sua vita.
Nato come un corto e dopo il successo riscritto come un lungometraggio Whiplash è il secondo lavoro da regista di Damien Chazelle, che già aveva avuto modo di lavorare in maniere poco convenzionali nel cinema musicale scrivendo la divertente sceneggiatura del thriller Il ricatto. Mescolando due matrici fondamentali del cinema americano, ovvero il genere dei "grandi domani musicali" (spesso ambientato nelle scuole di musica, fatto di scontri e concorsi e oggi declinato più che altro nei film di ballo di strada come la serie Step Up) e quello della vittoria dello spirito sulla carne canonizzato da Rocky e da lì in poi applicato quasi sempre allo sport (benchè nella categoria rientrino anche film come Il discorso del re), Chazelle giunge ad un ibrido capace di farsi portatore di idee e punti di vista poco usuali nel cinema statunitense che vanno ben al di là della musica, rendendo Whiplash probabilmente il miglior film musicale degli ultimi 10 anni.
La bravura del regista sta nell'usare l'incontro e scontro con un allenatore/maestro che incute il timore del sergente istruttore Hartman di Full metal jacket (in questo senso la scelta di casting ricaduta sul grandissimo caratterista J.K. Simmons non è solo azzeccata ma forse l'unica possibile) per condurre lo spettatore nel processo di miglioramento individuale di un musicista che cerca di emergere. Unendo un forte umorismo ad una contagiosa tensione verso la vittoria, la battaglia contro se stesso di Andrew viene esternalizzata e diventa una lotta contro un'altra persona che lo spinge fino ai limiti del tollerabile e poi oltre. Si uniscono così le figure dei duri insegnanti del genere "scuola di musica" con il percorso di purificazione personale che porta il protagonista a superare quei limiti fisici che lo bloccano inizialmente grazie ad una svolta psicologica (è propria del genere inaugurato da Rocky anche la dicotomia tra una vittoria finale effettiva e una personale).
Quello che il racconto di una trama piena di colpi di scena una volta tanto davvero imprevedibili (altro merito clamoroso del film) non dice è però l'ardore con il quale questo cineasta di 30 anni coniughi esigenze commerciali e ricerca di un cinema personale, filmando quasi tutto il suo film da molto vicino per cogliere sudore e fiatone, escoriazioni della pelle e sangue che ne fuoriesce (gli effetti sonori sembrano quelli di un film dell'orrore). Con grande intelligenza la difficoltà d'approccio ad uno strumento solitamente poco celebrato (la batteria) e un genere non amato dal grande pubblico (il jazz) sono stemperate dai più ruffiani montaggi d'allenamento e titanici scontri. Magnificando la portata della storia e facendone una lotta tra punti di vista sulla vita (come si capisce dal dialogo a tavola con la famiglia) Whiplash facilmente eleva il proprio discorso al di sopra delle contingenze trattate, per affrontare i massimi sistemi. Non temendo di esagerare spinge il suo protagonista al massimo dopo averlo fatto partire dal minimo (due assoli di batteria ben diversi aprono e chiudono il film), rifiutando di piegarsi alla morale buonista familiar/sentimentale imperante che vorrebbe mettere gli affetti prima di ogni cosa.
Commovente per qualsiasi amante della musica la precisione con la quale Whiplash esegue le parti musicali, tarando l'abilità degli strumentisti a seconda di chi stia suonando (in alcuni casi a livello maniacale), scegliendo le partiture e le soluzioni meno commerciali (non ci sono brani realmente famosi al di fuori della cerchia degli amanti) per non portare mai il jazz allo spettatore ma lasciare che accada il contrario, mantenendo così un'integrità e una serietà da applausi.



Film bellissimo e coinvolgente, da rivedere

domenica 1 marzo 2015

Fotografia: Robert Capa in Italia

testo da elaborare

Cinema: Shaum, vita da pecora



Un film d'animazione godibilissimo a tutte le età in cui si ride fino alle lacrime e ci si commuove
Paola Casella      *  *  *  1/2  -

La pecora Shaun e i suoi amici decidono di prendersi un giorno di riposo alla fattoria e fanno addormentare il fattore (un gioco, per delle pecore). Ma la roulotte in cui il fattore riposa si avvia da sola sulla strada che porta alla città, e in seguito a una contusione l'uomo subisce un trauma che gli fa perdere completamente la memoria. Shaun e compagni, inseguendo la roulotte, arrivano a loro volta in città, ma poiché il fattore è prima ricoverato in ospedale, poi diventa parrucchiere di grido (grazie alla sua abilità di tosatore), le pecore faticano a trovarlo. Riusciranno a riportare il loro amico alla fattoria e a riprendere la loro routine?
Tratto dall'omonima serie televisiva di successo planetario, Shaun, vita da pecora - Il film è un classico prodotto dallo studio di animazione Aardman (come Wallace & Gromit, per intenderci) realizzato in claymation, cioè con creature di plastilina filmate in stop-motion. Ciò che caratterizza le produzioni Aardman, oltre la tecnica, è lo humour britannico che si esprime senza parole, attraverso azione, espressioni, situazioni comiche. Shaun, vita da pecora è l'ennesima conferma di quel talento: ci si meraviglia per l'inventiva inesauribile e la capacità di realizzare scene di slapstick degne di Chaplin - memorabili quella al ristorante, in cui le pecore, travestite da esseri umani, cercano di farsi servire il pranzo (e addentano i menù), o quella del coro improvvisato "a cappella".
Ogni personaggio è fortemente caratterizzato, a cominciare dal geniale e carismatico Shaun, per proseguire con tutti i personaggi della serie - il fattore, il cane Bitzer, le pecore gemelle, Hazel e Nuts, la grassa Shirley, Timmy e la sua mamma con i bigodini. Ma ci sono anche personaggi nuovi ed efficaci cme l'accalappiatore Trumper e la randagia Slip.
Il ritmo comico, spesso quello della farsa, è impresso dalla regia e dal montaggio, ma comincia evidentemente in una sceneggiatura che non si limita ad allungare un episodio della serie, o ad allinearne una decina, ma costruisce una storia con pathos e humour. Il risultato è un film d'animazione godibilissimo a tutte le età in cui si ride fino alle lacrime, ci si commuove, e si esce di sala saltellando sulla canzone dei titoli di coda.

Mi aspettavo qualcosa piu alla Wallace & Gromit, quindi sono rimasto un po deluso.
Agli altri è comunque piaciuto